di Marcello Cecconi
Forse non è casuale se il primo commento ufficiale della Casa Bianca alla morte del Papa è stato un freddo “Rest in peace”. Nessun accenno alla sua dottrina sociale, nessuna parola sulla sua enciclica “Fratelli Tutti”, nessuna memoria del suo sforzo per tenere accesa la luce dell’umanità nei giorni più bui del Mediterraneo, delle guerre ignorate, della pandemia
La morte di Papa Francesco non ha suscitato, nei circoli del potere occidentale e nelle nuove destre identitarie, quella preoccupazione che normalmente accompagna la scomparsa di un leader mondiale. Al contrario: in certi ambienti, sebbene nessuno lo ammetterà pubblicamente, si respira una forma di sollievo. È venuta meno una delle poche voci capaci di mettere in discussione la retorica del confine, della sicurezza come esclusione, della sovranità come privilegio.
Ora che la sua voce si è spenta, si rischia un’accelerazione nella restaurazione di un ordine mondiale fondato sull’egoismo nazionale e sulla difesa del privilegio. Già da tempo, movimenti politici di stampo sovranista e populista cercano di riportare la società su binari più autoritari, identitari, selettivi. Il “freno a mano” morale rappresentato da Francesco – che parlava a nome degli ultimi, degli scartati, degli invisibili – viene a mancare. E il vuoto potrebbe riempirsi di silenzi complici.
Francesco non era solo un Papa. Era, per molti, l’unico leader globale che ricordava ai potenti – ogni volta che poteva – che l’uomo non si misura in Pil, né in nazionalità. Il Papa argentino, con i suoi gesti e le sue parole, rompeva la narrazione per cui i migranti sono una minaccia, i poveri un problema, la solidarietà una debolezza. Era un’anomalia nel tempo presente. E per questo è stato isolato, ignorato, talvolta deriso. Ma mai veramente contrastato apertamente, per il semplice fatto che farlo sarebbe sembrato disumano.
Francesco, con parole semplici ma sferzanti, ha indicato in più occasioni le ferite di un capitalismo senz’anima, il peccato della globalizzazione dell’indifferenza, l’ipocrisia del “buon ordine” occidentale costruito sul respingimento dei migranti e sulla chiusura delle frontiere. Ha sfidato i dogmi dell’economia neoliberale più di quanto lo abbiano fatto molti governi progressisti. E lo ha fatto dal cuore della Chiesa, con autorità ma senza potere temporale, portando avanti un’azione silenziosamente rivoluzionaria
Ora che non c’è più, molti potranno riprendere fiato. I confini potranno essere chiusi con meno resistenza morale. La compassione potrà essere archiviata come ingenuità. Il disprezzo verso la fragilità potrà di nuovo camminare a testa alta, senza l’inciampo di una voce che, con il solo peso della sua autorità spirituale, ricordava all’Europa, all’America, e anche a casa sua, che il Vangelo non è un manifesto elettorale.
Il segnale più inquietante è proprio quello di non spaventarsi di questa morte. Perché vuol dire che la sua voce era ormai un rumore di fondo per chi oggi detta l’agenda politica del mondo. Un fastidio. Una zavorra. Adesso tolta.
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