di Manuela Ballo
I coraggiosi turisti che si aggirano per la Sicilia, nonostante i disagi di questa stagione del malcontento, e i palermitani che restano in città in questi ultimi sprazzi di vacanze natalizie, ne approfittino: ancora per due giorni, cioè fino alla fine dell’anno, 31 dicembre, potranno ammirare gratuitamente la grande meraviglia dei pupi, dispersi e poi ritrovati. Una mostra rara, come rari sono ormai i pupi che un tempo regnavano nelle piazze e nei palazzi della Conca del Sole. E’ una mostra miracolo, una fiaba, o “meglio un cunto a lieto fine” come ha scritto Mario Di Caro.
C’è voluto mezzo secolo perché i 56 Pupi dell’Ottocento tornassero a casa, nel Laboratorio di Mimmo Cuticchio, in via Bara all’Olivella. Ora, dopo un attento restauro, sono di nuovo visibili nella mostra “Pupi dispersi. Pupi ritrovati”, che è stata inaugurata a metà dicembre. Una mostra da guardare; una storia da leggere e da ascoltare, come quelle che si raccontavano un tempo nelle veglie di Natale.
Era il 1967. Giacomo Cuticchio è invitato dall’ambasciata italiana a fare uno spettacolo a Parigi. Sui pupi e con i pupi, naturalmente. Lo accompagna Mimmo, figlio, apprendista e braccio destro. Parigi conquista Mimmo che proprio lì, in quei tumultuosi anni, capisce la rilevanza teatrale delle abituali gesta dei suoi eroi creati dalle portentose mani dei pupari siciliani e la forza narrativa del metterli in scena, fondendo fisicità e oralità, gestualità e linguaggio. Lì cresce e si addestra quel Mimmo Cuticchio che sarà ammirato sui palcoscenici italiani ed europei.
Proprio, in quel tempo dei primi trionfi, prende corpo il lungo addio dai suoi amati pupi.
La storia si complica, diventa la trama di un romanzo d’appendice. A Parigi i Cuticchio – padre, figlio e l’aiutante Giuseppe Arini- familiarizzano con Enrico Panunzio, un intellettuale pugliese che dirigeva la biblioteca dell’ambasciata. Il fatto è che quell’intellettuale si era così tanto appassionato alla loro opera che fece di tutto per rimanere accanto ai pupi. Propose alla famiglia Cuticchio di soggiornare più a lungo e, a Giacomo, di vendergli i pupi con i quali avevano realizzato lo spettacolo parigino. La proposta si rende concreta anche perché nel pacchetto è compresa l’idea di avviare un teatrino nella sede della Librarie 73, al boulevard Sant Michel. Per qualche mese sarà proprio Mimmo a dirigere quel teatrino dove, peraltro, mette in scena il suo primo copione. Poi il rientro in Italia, per il servizio di leva, e il successivo ritorno a Palermo, dove davvero inizia il suo lungo percorso teatrale con la nascita, nel 1971, del gruppo Figli d’Arte Cuticchio.
Gli anni passano, l’artista cresce ma ha ancora nel cuore quei pupi lasciati a Parigi. Spera di riportarli a casa e, per questo, non interrompe mai i contatti con Panunzio il quale, nel frattempo, è rientrato a Molfetta, città natale dove ha sistemato i suoi amati pupi all’interno di Torre Pulo, un ex convento dei cappuccini di proprietà della sua famiglia. Quando può farlo Cuticchio va a visitarli e a salutarli come si fa con i parenti stretti. Quando, nel 2015, Enrico Panunzio muore, i pupi restano in Puglia, custoditi dai figli Antoine e Stephanie. I due, a un certo punto, si rendono conto che il posto dei Pupi è a Palermo. Così i pupi ritornano quasi tutti escluso qualcuno che Antoine e Stephanie tengono in casa, per nostalgia e affetto. Magari, un giorno, anche loro faranno ritorno a Palermo.
E’ durante il lockdown del 2020 che i Pupi tornano in Sicilia e per due anni Mimmo Cuticchio, con il prezioso supporto di Tania Giordano, costumista e scenografa del Teatro dei Pupi, li recupera completamente anche attraverso un pignolo lavoro di restauro. Ora sono in bella mostra e, insieme a tutto il materiale che la compone, rappresentano il corpus del catalogo che è curato da Elisa Puleo.
Sono 56 i restaurati e ora in mostra: Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Terigi, Gradasso, il Gigante a cui si spacca la faccia, Febore, Salatiello della Libia e lo Spaccato verticale, i tre fratelli Spagnoli, due soldati neri e due soldati bianchi, il conte Rampaldo, un carceriere, un contadino, un brigante, un pellegrino, Gano di Magonza, Orlando e Rinaldo giovani, una Monaca, Aldalabella, il corpo nudo di Ruggiero dell’Aquila Bianca, i maghi Merlino e Malagigi, i diavoli Nacalone e Calcabrino, un satiro a quattro facce, un satiro a tre teste, un drago e un serpente, Vegliandino, il cavallo di Orlando e Baiardo il cavallo di Rinaldo, due angeli.
Come ha confidato a Paola Carella, in una lunga intervista, Mimmo Cuticchio, dopo il paziente lavoro di recupero e di restauro, passa molto tempo a mirarli e rimirali e a parlar con loro: “Li guardo – dice Cuticchio nell’intervista– e non riesco a nascondere la felicità di riaverli con me, e anche loro mi sembrano molto compiaciuti di ritrovarsi in teatro, con tanta voglia di raccontarsi. E chissà se la sera, quando chiudo il teatro, loro si riuniscono con i pupi della nuova generazione per raccontarsi cosa è accaduto in questi 50 anni di allontanamento forzato”. Sicuramente lo sussurrano a lui. Ma non lo dicono a nessun altro: né ai visitatori né tantomeno ai giornalisti. I pupi siciliani parlano solo in scena.