di Manuela Ballo
Le sale sono semivuote, mentre le piattaforme ingrassano facendo affari d’oro. Sono, questi, due fenomeni collegati tra loro o due casi da studiare e interpretare separatamente? Da settimane, se non da mesi, studiosi e operatori del settore s’interrogano su questa problematica, spesso con pareri discordi.
Partiamo dai dati sul cinema. Da un’elaborazione fatta dalla redazione della “Lettura” sulla base della fonte “Mymovies.it” appare evidente come siano fortemente calati i frequentatori delle sale cinematografiche.
In quest’analisi sono presi in considerazione, sulla base dello stesso arco temporale- cioè sei settimane- i visitatori nell’annata prima della pandemia e quelli dell’attuale, considerati però dalla riapertura con capienza massima avvenuta l’11 ottobre. Nel 2019, in un periodo che va dal 18 ottobre al 24 novembre, i primi dieci film della classifica hanno incassato un totale di 44.034.599 in testa c’era “Maleficent. Signora del male” che da solo ha superato i 10 milioni. Mentre dal 15 ottobre al 21 novembre del 2021 si è avuto un incasso di 28.835.032 e il film più visto è stato “Eternals” che ha fatturato 7 milioni e mezzo. Se si mettono a confronto i dati, è evidente come le attese e la gran festa per la riapertura delle sale si stia lentamente tramutando in un piccolo flop, giacché il crollo degli spettatori sfiora ad oggi il 50 percento.
Il fenomeno peraltro non sembra riguardare solo il cinema italiano, perché dati simili si riscontrano in tutto il sistema della produzione e del consumo di cinema nell’occidente. E riguarda, peraltro, sia quelli che un tempo erano considerati “film da cassetta” sia il cosiddetto cinema d’autore. Come nota Davide Ferrario su “La lettura” di fine novembre, i film vincitori di Cannes e di Venezia (Titane e La storia di Anna, entrambi francesi) languono con incassi intorno ai 150 mila euro in totale. Ad andare male sono soprattutto i film medi.
Che dire? La sensazione, come scrivono diversi commentatori, che si stanno occupando di questo fenomeno, è che ad andare male siano soprattutto i film cosiddetti medi, quelli cioè che servivano a far sani i bilanci, e che quindi la gente decida di muoversi da casa e di andare a godersi lo spettacolo in sala solo in occasione dell’uscita di film che abbiano caratteristiche eccezionali. Ci si muove, cioè, da soli o in compagnia come ci muoveremmo per andare ad ascoltare un concerto di un grande cantante o a visitare la mostra di un museo. Il cinema avrebbe perso la sua specifica forma d’attrazione ma diverrebbe attrattivo solo attraverso eventi promossi dal sistema dei media, come sta avvenendo per molti altri comparti dell’industria culturale. In questo nuovo contesto giocano il loro ruolo le piattaforme.
È casuale che Sorrentino, ZeroCalcare e Verdone abbiano scelto di utilizzare una piattaforma come Netflix per mostrare al pubblico i propri lavori?
Se lo chiede ironicamente, anche Andrea Minuz su Il Foglio: “ Solo nell’ultimo mese un successo dietro l’altro. ‘Squid Game’ che diventa un fenomeno virale e un generatore di editoriali sulla ferocia del capitalismo sterminatore. ZeroCalcare che si tira dietro uno strampalato dibattito sul romanesco biascicato. E ora tutto un dilemma civile sulla ‘Mano di Dio’: vederlo al cinema o sbracati sul divano tra meno di due settimane? La forza dei prodotti di Netflix sembra essere tutta qui: se ne parla tanto”.
E così si apre un “ampio dibattito”, come lo avrebbe definito Luciano Bianciardi e “si sollevano” questioni filosofiche, etiche e anche politiche.
Ci sono i “catastrofisti” per i quali è tutta colpa degli algoritmi. C’è chi rincara la dose sostenendo che ormai le piattaforme si sono fatte spietate e puntano solo al profitto. Per questi osservatori non ci sarebbe più scampo per il cinema, giacché tutti gli autori e tutte le opere sono a portata di video grazie allo streaming e ai servizi on demand. È evidente che in questo caso sarebbero le piattaforme a orientare il gusto di gran parte degli utenti, e questo non vale solo per il cinema ma chiama in causa anche altri settori (i musei, le mostre o ad esempio la musica) che sarebbero costretti anch’essi a ricorrere sempre più alla pratica dello streaming. Il fatto è che questi due anni di pandemia ci hanno fatto cambiare molti comportamenti e hanno inciso sul nostro stile di vita.
La volontà di tornare ad avere una vita sociale, esigenza generalizzata dopo il lungo isolamento, si manifesterebbe, così, attraverso altre forme da quelle previste. Al bisogno di stare insieme fa da contraltare l’istinto a godere fino in fondo della comodità. Forse è questo che ci spinge a guardare film, serie e spettacoli senza uscire da casa, sia da soli sia in compagnia.
Cioè, non è solo l’algoritmo che ci porta a vedere ZeroCalcare su Netflix o a scegliere di seguire, settimana dopo settimana, una serie. Fosse davvero così, potremmo risolvere il problema con una massiccia protesta popolare contro le piattaforme e scendere nelle piazze a sostegno del cinema nelle sale. Una soluzione, e una scena, alla Nanni Moretti. Siccome non è così, usiamo le nuove forme di visione con intelligenza. Mai l’ultimo medium, o un nuovo modo di consumare i media, uccide completamente ciò che preesisteva. Cosa che vale anche per gli stili di vita, bisogna guardare a questi fenomeni con sguardo lungo. E quindi, nel volgere di qualche tempo, sale e streaming troveranno utili forme di convivenza.
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