di Lucia Mora
Sento spesso dire che il cantautorato italiano è morto. Per carità, è legittimo pensarlo: De André non c’è più, Gaber non c’è più, Battiato nemmeno. Guccini si dedica ai romanzi, Fossati canta solo se glielo chiede Mina e Baglioni si è dato all’auto-parodia infarcendo programmi televisivi di canzoni reinterpretate male, prima sul palco di Sanremo e poi su Canale 5. Una prece.
Non tutto è necessariamente perduto, però. Ogni tanto capita persino di imbattersi in qualche disco interessante, come quelli citati qui sotto (con una piccola eccezione).
Canzoni all’angolo – Luigi Mariano (2016)
Luigi Mariano è un cantautore salentino che sa il fatto suo. Lo aveva già dimostrato con Asincrono, disco del 2012 molto ironico e brillante, di gaberiana memoria. Canzoni all’angolo segna invece una nuova fase nel suo percorso artistico: Mariano riesce ad andare oltre al (pur inevitabile) debito nei confronti dei grandi maestri, scavando dentro di sé alla ricerca di una propria poetica. È così che nasce per esempio Mille bombe atomiche, giustamente posta a incipit dell’album. A impreziosire l’opera ci sono anche collaborazioni riuscitissime, da Simone Cristicchi a Neri Marcorè. Canzoni all’angolo sa allo stesso tempo colpire e divertire, tra un blues beffardo e una malinconia springsteeniana. Da non perdere.
Taddeo – Le Mondane (2021)
Un altro disco degno di nota arriva dal novarese. Si tratta di Taddeo, nuova uscita delle Mondane, band pop/folk composta da Luca Borin (voce e chitarra), Daniele Radaelli (chitarre, cajon, ukulele, mandolino, cori) e Manuel Mormina (batteria e percussioni). Taddeo si inserisce in una delle branche più nobili del cantautorato: quella dei cantastorie. Il trio piemontese ha voglia di raccontare – o, per meglio dire, ha tante cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare – e si vede. La voce di Borin (che peraltro ha un graffio rock simile a quello di Autelitano dei Ministri) è perfetta per l’intento, accompagnata da melodie incantevoli. La mia traccia preferita è Il villaggio del fanciullo, perché non solo riesce a restituire la capacità del trio di catapultare chi ascolta tra le pagine di un romanzo, ma è anche musicalmente straordinaria. Ricapitolando: c’è competenza musicale, c’è spirito narrativo e c’è coerenza stilistica. L’ascolto è servito.
Solo – Ultimo (2021)
Ho un amico che, ogni volta che si finisce a parlare di musica, mi dice sempre: «Dai una chance a Ultimo come cantautore, guarda che sa scrivere!». Non gli ho mai dato retta, fino all’altro giorno, quando ho ascoltato Solo, la sua ultima produzione discografica. Lì ho finalmente capito perché non gli avevo mai dato retta. Ultimo è ciò che il cantautorato non dovrebbe essere: ripetitivo, autoreferenziale e fin troppo servizievole nei confronti del suo pubblico. Per intenderci: un album che viene definito come un lavoro di introspezione e di tormento individuale non può presentarsi con tredici o quattordici canzoni d’amore su diciassette totali. O è una presa in giro, o a Ultimo piace calcare la mano su ciò che del suo repertorio vende di più (che è poi forse la stessa cosa). Non gli si chiede certo il piglio sfrontato dell’Avvelenata o l’impegno politico di Claudio Lolli, ma almeno un po’ di inventiva e di intraprendenza non guasterebbero.