di Marcello Cecconi
I resti umani ritrovati sull’Etna, alcuni giorni fa, avrebbero potuto essere proprio di Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano pomeridiano L’Ora di Palermo, scomparso per mano della mafia nel settembre del 1970 e mai più ritrovato. Un borsellino con una moneta coniata nel 1977 rinvenuto nelle vicinanze dei resti sembra allontanare questa ipotesi. Questa notizia di cronaca ci dà lo spunto per parlare de L’Ora, appunto, una storia italiana importante di una certa maniera di fare giornalismo.
L’Ora, quotidiano pomeridiano di Palermo che aveva il sottotitolo “corriere politico quotidiano della Sicilia”, il 22 aprile 1900 va in edicola per la prima volta. È la storica famiglia siciliana Florio a volere un mezzo di comunicazione per supportare il progetto di un costituendo partito politico siciliano. Si voleva aggregare gli interessi di industriali e proprietari terrieri contro quelli dei grandi latifondisti che con la loro mentalità feudataria bloccavano lo sviluppo intorno all’industria di trasformazione agroalimentare, rendendo improponibile contrastare gli interessi del Nord.
A dirigerlo sarà chiamato il redattore politico de La Tribuna, Vincenzo Morello, contrariato dall’improvviso cambio di linea politica del quotidiano romano. Più tardi arriverà Edoardo Scarfoglio, che aveva fondato Il Mattino di Napoli, e che sarà affiancato da firme prestigiose sulla pagina della cultura come quelle di Salvatore Di Giacomo, Giovanni Verga, Matilde Serao e Luigi Pirandello. Scarfoglio porrà il giornale nella linea meridionalistica e antigiolittiana e coltiverà rapporti anche con la stampa internazionale prestigiosa come il Times di Londra, Le Matin di Parigi o il New York Sun. Mai i nemici latifondisti resistettero facendo fallire il progetto dei Florio che sprofondarono in una crisi economica tale da essere spazzati via anche dalla politica.
Ma ormai L’Ora risplendeva di luce propria e, con il nuovo editore Filippo Pecoraino, facoltoso proprietario di pastifici e coeditore anche de Il Mondo di Giovanni Amendola, superò la crisi continuando a sostenere i contadini nella loro lotta contro il feudo e i latifondisti. Divenne così uno strumento per supportare lo sviluppo sociale, civile ed economico dell’isola. Durante il ventennio si pose inizialmente in ferma opposizione al fascismo per poi cedere alla pressione e diventare addirittura organo palermitano del fascio. Dopo la fine della guerra, con la “Società Editrice l’Ora” di Sebastiano Lo Verde, si pose dalla parte della Repubblica e dell’autonomia siciliana ma il periodo più fulgido fu quello della direzione del siciliano d’adozione (nato in Calabria) Vittorio Nisticò, che va dal 1954 al 1975 con editore Gate, una società culturale diretta da Amerigo Terenzi. La società era espressione diretta del Pci che completa l’idea di una serie di quotidiani diretti alle classi più popolari in alternativa alla “cultura ufficiale” de L’Unità. I compagni di viaggio de L’Ora erano infatti: Paese Sera, storico quotidiano romano, Milano Sera guidato da Alfonso Gatto con interventi di Elio Vittorini, Paolo Grassi e Giorgio Strehler e Il Nuovo Corriere di Firenze che ospitava Giuseppe Ungaretti da un lato ma anche il cattolico Giorgio La Pira dall’altro.
L’Ora non fu mai comunque agli ordini dei burocrati del partito e Nisticò cercava equilibri in un’oggettiva linea non ufficiale. Ecco come in questi giorni uno dei suoi ex capo-redattori, Antonio Calabrò, ha raccontato al Corriere della Sera il rapporto del giornale con il partito: “Poca retorica. Mai propaganda. Il Pci, editore sensibile a un ampio sistema di relazioni (la migliore lezione della guida togliattiana) è comunque tenuto a rispettosa distanza: tra i provvedimenti di Nisticò, già all’inizio della sua direzione, c’è il divieto di costituire, all’interno de «L’Ora», una «cellula» del Pci e, per i redattori, d’assumere incarichi di responsabilità negli organismi dirigenti di partito. Mai «suonare il piffero per la rivoluzione», per dirla con un’efficace sintesi di Elio Vittorini. Alcuni di noi redattori e dei commentatori politici avevamo in tasca una tessera del Pci. Parecchi, invece, no”.
L’Ora, con Nisticò, riuscì a essere l’interprete principale del rinnovamento che attraversava l’economia e la politica siciliana, portavoce ascoltato e rispettato anche perché non mancò mai di rimarcare quanto questo rinnovamento fosse messo in pericolo dalla mafia, sottoprodotto del nuovo fervore sociale. Nisticò legò la linea del quotidiano a un’etica giornalistica, culturale e politica solida, creando relazioni fra la sinistra e l’universo progressista in generale fino alle correnti cattoliche e democristiane meno conservatrici.
Intorno a lui fiorì una scuola di giornalisti, reporter e fotoreporter attraverso tre generazioni che rappresentarono le fondamenta del giornalismo antimafia. Aprì il suo giornale alla gente che scorgeva nella cultura popolare la grande possibilità di diminuire il divario con il settentrione. Incrociava l’impegno sociale delle inchieste contro la mafia alla responsabile capacità degli intellettuali del momento che interpretavano attraverso la cultura popolare i cambiamenti sociali e civili in corso. I nomi sono quelli di Leonardo Sciascia, Renato Guttuso, Andrea Camilleri con i suoi primissimi racconti, Letizia Battaglia con le sue indimenticate fotografie e i disegni di Bruno Caruso che dissacravano la mafia con elegante ironia.
Nella lotta alla mafia, come abbiamo detto, L’Ora è sempre stata in prima linea e nel 1958 subì il primo attentato dinamitardo di stampo mafioso. Anziché intimidirsi, la redazione reagì con inchieste che ebbero una risonanza tale da permettere la costituzione del movimento antimafia. Il tributo che il giornale ha dovuto pagare, però, non è stato di poco conto e può così vantare il doloroso record di giornalisti vittime della mafia. Oltre al già citato Mauro De Mauro, scomparso misteriosamente mentre stava indagando per collaborare alla sceneggiatura per un film di Francesco Rosi sul caso Mattei, ci fu anche l’omicidio di Giovanni Spampinato oltre a quello di Cosimo Cristina. Quest’ultimo caso, per alcuni bigliettini di addio reperiti vicino al cadavere, fu archiviato dalla giustizia come suicidio nonostante le numerose incongruenze che facevano supporre di prove montate ad arte.
La prima pagina de L’Ora dopo la scomparsa di Mauro De Mauro
L’Ora riuscì sempre a mantenere le sue intenzioni originarie: contrasto alla mafia e una rappresentazione dell’isola che premiava l’orgoglio di chi vi era nato. Nel 1973 uno scivolone del giornale nella mai chiarita bufera dello “scandalo Isab”, cioè il tentativo di corruzione operato dal petroliere Garrone per far tacere il giornale sulle irregolarità della raffineria Isab nel siracusano che comunque vide la redazione de L’Ora negare con veemenza la propria corruttibilità. Ma l’arrivo di molteplici emittenti televisive e quello di nuovi quotidiani come Repubblica, nella seconda metà degli anni Settanta, cambiò molte cose.
Il Pci fu costretto a un cambio di strategia con la trasformazione de L’Ora in un quotidiano del mattino. La strategia non pagò e nel 1979 il partito decise la chiusura. Una cooperativa di giornalisti ottenne la testata e gli immobili in comodato gratuito mentre un’altra cooperativa di giornalisti, presieduta da Nisticò, ottenne la gestione degli impianti alle stesse condizioni. Le cose non migliorarono e alla fine degli anni Ottanta il Pci, in accordo con le cooperative del giornale, vendette la gestione editoriale de L’Ora alla Nuova Editrice Meridionale che si impegnò in investimenti tecnologici e immobiliari. L’insorgere di contrasti sulla linea editoriale fra la cooperativa di giornalisti e rappresentanti del Pci causò un crollo verticale delle vendite e la cessazione definitiva nel 1992.