Giulia Giovani è docente di Fondamenti del linguaggio musicale e di Storia della musica all’Università degli studi di Siena
di Giulia Giovani
La musica di Franco Battiato ha accompagnato generazioni di italiani. Alcune volte si è fatta ascoltare distrattamente, con una certa leggerezza pure dove leggerezza in fondo non c’era, altre volte ha richiesto ascolti puramente emotivi, il più delle volte ascolti prolungati e riflessivi. Da Fetus (1971) a Torneremo ancora (2019), passando per Prospettiva Nevski (1980), Cuccurucucù (1981) e La cura (1997), il cantautore siciliano ha rappresentato la complessità della nostra realtà sfaccettata, ponendosi costantemente a confronto con modelli vicini o lontani. Così facendo ha chiesto a tutti noi un approccio attivo all’ascolto, stuzzicando il piacere insito nel riconoscere una citazione o i molteplici riferimenti a vicende, immagini, mondi poetici e musicali peculiari delle sue canzoni.
Il percorso artistico di Battiato è molto diverso da quello di altri cantautori della sua generazione, cui fatichiamo ad associarlo. La costante ricerca musicale, prima che poetica, è infatti la cifra stilistica del siciliano che, sin dagli esordi, associa alle esplorazioni nell’ambito pop quelle in ambito colto. L’affermazione di Battiato riconducibile ai primi anni Ottanta del Novecento è infatti preceduta da diversi album nei quali sperimenta le possibilità espressive dell’organo di Monreale (M.lle le “Gladiator”, 1975) o il minimalismo (Clic, 1974; L’Egitto prima delle sabbie, composizione pianistica con la quale vince il Premio Stockhausen nel 1978). Anche negli anni di maggiore successo, Battiato si dedica alla composizione di musica sacra (Messa Arcaica, L’Aquila e Assisi 1993) e di opere liriche come Genesi (Parma 1987), Gilgamesh (Roma 1992), Il cavaliere dell’intelletto (Palermo 1994). Sperimentazioni nell’ambito colto che proseguono nel nuovo millennio, con la composizione su commissione delle musiche per il balletto di Paco Decina Campi Magnetici (Firenze 2000) e dell’opera lirica contemporanea Telesio (Cosenza, 2011). Nel 2014 Battiato torna a sperimentare l’elettronica con l’album in studio Joe Patti’s Experimental Group.
Il pubblico che ascolta gli album più noti di Battiato, pur senza conoscere il suo parallelo percorso di sperimentazione in ambito colto, percepisce la commistione di linguaggi. Basti pensare all’uso combinato di strumenti ad arco con suoni sintetici frequente nelle canzoni, o a riferimenti a generi ben noti per concludere una canzone nel segno della discontinuità ritmica e musicale, come nel caso dei “valzer viennesi” di Voglio vederti danzare. Se i contrasti timbrici e ritmici contribuiscono a catturare la nostra attenzione, tutti gli elementi sono generalmente ben dosati e legati assieme dalla voce del cantautore (talvolta mascherata grazie al lavoro in studio) che si esprime in uno stile cantabile, prestando grande attenzione all’intelligibilità della parola. Come la musica, la parola è necessaria a rendere l’ascoltatore parte integrante del processo di ricerca “dadaista” di Franco Battiato.
Così come le melodie e gli arrangiamenti occhieggiano costantemente a un linguaggio colto, anche i testi delle canzoni di Battiato sono costellate di riferimenti a tale tradizione musicale. Alcuni esempi: il racconto dell’innamoramento di Sergej Djagilev e Vaslav Nijinskij, con Igor Stravinskij a pochi passi (La prospettiva Nevski); i veloci giudizi su Ludwig van Beethoven, Frank Sinatra e Antonio Vivaldi (Bandiera bianca); l’uso dell’incipit testuale “Bist du bei mir”, aria intonata, tra gli altri, da Johann Sebastian Bach, per la canzone omonima nell’album Ferro Battuto (2001); Casta Diva, canzone dedicata a Maria Callas in Gommalacca (1998) che fa uso della voce del celebre soprano; Gestillte Sehnsucht in Come un cammello in una grondaia (1991) che riprende il testo di un noto Lied di Johannes Brahms.
Nell’arco della propria carriera artistica, Franco Battiato ha saputo coniugare due mondi musicali che, pur utilizzando gli stessi materiali di base, raramente comunicano tra loro. La sua ricerca ha sdoganato l’utilizzo di un linguaggio volutamente erudito, non necessariamente colloquiale, e spinto generazioni di ascoltatori a informarsi su fenomeni, personaggi, stili, ambienti contribuendo a migliorarci, come continuerà a fare nei tempi a venire.