di Manuela Ballo
Save the Children è una delle associazioni che più si sta battendo per difendere i diritti dei bambini e dei ragazzi in Italia e nel mondo. E’ una delle organizzazioni internazionali indipendenti più prestigiose e più antiche, essendo stata creata nel maggio del 1919. Opera in 125 paesi con una rete di 28 organizzazioni nazionali e una struttura internazionale. In Italia Save the Children ha condotto e sta conducendo campagne per cercare di limitare gli effetti della pandemia sui bambini e sulle classi sociali più disagiate. Le loro ricerche sugli effetti della didattica a distanza ( Dad) sugli studenti del meriodione d’Italia hanno lasciato il segno. Di tutto questo parliamo, in questa intervista, con Daniela Fatarella che è l’attuate direttrice di Save The Children in Italia.
A più riprese Save The Children ha segnalato, portando dati precisi, lo stato di disagio in cui si trovano i giovani studenti del meridione d’ Italia, costretti spesso all’abbandono degli studi. Quali effetti avrà tutto ciò per lo sviluppo di questi ragazzi?
All’inizio dell’anno Save the Children ha pubblicato una ricerca Ipsos dalla quale emergevano segnali allarmanti. Secondo una nostra stima elaborata a partire dai dati raccolti, infatti, in Italia circa 34mila studenti delle scuole superiori, a causa delle assenze prolungate, rischiano di alimentare il fenomeno dell’abbandono scolastico, che già nel 2019, prima della pandemia, coinvolgeva un ragazzo su otto che lasciava la scuola solo con la licenza media in tasca. Il 28% degli intervistati afferma che dal lockdown di primavera c’è almeno un proprio compagno di classe che ha smesso completamente di frequentare le lezioni. Il 7% afferma che i compagni di scuola “dispersi” a partire dal lockdown sono tre o più di tre. L’impoverimento che ha travolto molte famiglie in questi mesi rischia di portare molti adolescenti a lasciare la scuola per andare a ingrossare le fila del lavoro sfruttato. Proprio alla luce di queste evidenze, è fondamentale agire subito con delle forme di “ristoro” educativo a sostegno degli studenti direttamente colpiti dalla crisi, affinché questo temporaneo black out scolastico non impedisca a ragazze e ragazzi di realizzare i loro sogni. È necessario, inoltre, che le risorse del Next Generation siano utilizzate proprio per il futuro dei più giovani, con investimenti a lungo termine sull’educazione, vero cardine sul quale poggia lo sviluppo del Paese.
Dato che si parla tanto di innovazione tecnologica, di autostrade digitali e di sviluppo del mezzogiorno, quali sono le concrete misure che secondo lei possono essere adottate per tentare di ridurre perlomeno il Gap tra il sud e il resto d’ Italia?
Abbiamo provato a capire quanto questo gap storico si sia aggravato negli ultimi mesi, soprattutto dal punto di vista della povertà educativa. Nell’analisi che abbiamo svolto per vedere quanti giorni sono andati a scuola bambini e ragazzi di alcune città del nord e del sud nell’ultimo anno a causa delle chiusure del Covid, è emerso che bambini e adolescenti del sud hanno pagato un prezzo più pesante degli altri sull’impossibilità di frequentare la scuola in presenza. Nell’ultimo anno infatti, gli studenti del Mezzogiorno hanno avuto la possibilità di frequentare in classe meno della metà del tempo dei loro compagni di Roma, Firenze o Milano. Una disparità tra nord e sud che pesa notevolmente su territori già colpiti duramente dalla povertà educativa. In Italia, sin dall’inizio della crisi abbiamo rimodulato e potenziato le nostre attività sul territorio per intercettare e rispondere ai bambini e alle loro famiglie messe in difficoltà dalla pandemia. Grazie a un lavoro in rete con associazioni partner territoriali abbiamo fornito sostegno materiale alle famiglie, distribuito tablet e connessioni, sostenuto le scuole e fornito supporto psicosociale. Grazie alle due iniziative “Non da Soli” e “Riscriviamo il Futuro” sono stati raggiunti 160mila bambini, bambine, famiglie e docenti. Chiaramente noi facciamo la nostra parte, ma è necessario un impegno strategico della politica per colmare questo gap che rischia di diventare sempre più ampio se non si affronta subito il tema delle diseguaglianze sociali e territoriali, le cui conseguenze ricadono sui bambini.
Un analogo fenomeno forse ancor più accentuato si pone se mettiamo a confronto i paesi ricchi e quelli poveri del mondo. Questo squilibrio si sta manifestando in forma acuta in relazione alla proprietà e all’ uso dei vaccini. Qual’ è il suo giudizio su questo fenomeno, data la visione globale che lei e la sua organizzazione avete?
Da quando è stata dichiarata la pandemia globale, a febbraio del 2020, il 91% degli studenti del mondo è stato costretto ad abbandonare le aule nel mezzo dell’anno scolastico. Si stima che siano stati persi 112 miliardi di giorni di scuola. I bambini più poveri sono stati maggiormente colpiti e che hanno subito le forti conseguenze della pandemia sulla loro istruzione e il loro futuro. Stiamo vivendo la più grande emergenza educativa mai vissuta, che sta ampliando il divario tra i Paesi diversi e all’interno degli stessi Stati. Una situazione che, in molte aree del pianeta sta diventando ingestibile. I più piccoli stanno pagando un prezzo altissimo in questa crisi. Inoltre, in molte zone, oltre alla perdita di apprendimento, non andare a scuola significa essere esposti a un rischio maggiore di lavoro minorile, matrimoni precoci e altre forme di abuso. Il rischio di essere intrappolati in un ciclo di povertà è nettamente maggiore. L’impatto irreversibile che si rischia di avere sulla vita di milioni di bambini può essere fermato solo grazie all’intervento dei donatori e degli stati. Ci troviamo in una situazione in cui gli SDGs sono messi a dura prova e in un anno solo – il 2020- pensiamo di poter vedere retrocedere i progressi ottenuti negli ultimi 10/15 anni. Il G20 ospitato dall’Italia è un’occasione per rimettere al centro dell’agenda dei grandi della terra la necessità di politiche mirate al sostegno e allo sviluppo dei paesi più poveri. Auspichiamo infatti la sospensione o riduzione del debito dei paesi poveri, o quantomeno il prolungarsi della sospensione fino alla fine del 2022.
Un altro grande fenomeno che noi studenti seguiamo con particolare angoscia è quello dei continui naufragi nel Mar Mediterraneo, per fortuna ci sono le organizzazioni non governative che operano, mentre gli stati sembrano essere totalmente assenti. Qual’ è il suo giudizio sull’ atteggiamento del Governo italiano e in particolare per quanto riguarda i complessi rapporti col governo libico che si sta macchiando di questi grandi delitti?
Salvare vite umane dovrebbe essere la preoccupazione principale. Secondo il diritto internazionale, gli Stati hanno l’obbligo di cooperare e coordinarsi per salvare le persone in difficoltà in mare e portarle nel porto sicuro più vicino nel più breve tempo possibile, adottando tutte le misure necessarie per garantire che migranti e rifugiati, molti dei quali bambini, siano sbarcati in porti sicuri dove possano ricevere una protezione adeguata. Inoltre, il Trattato di Lisbona prevede che gli Stati dell’UE garantiscano il costante rispetto dei principi di base di solidarietà e assistenza umanitaria. Di fronte a quanto sta attualmente accadendo nel Mediterraneo, con l’aumento degli arrivi e il triste conteggio giornaliero delle vittime, è dunque imperativa l’organizzazione di una risposta coordinata da parte degli Stati membri e dell’UE per consentire il salvataggio delle persone in mare e lo sbarco sicuro e tempestivo delle navi di soccorso. Ciò significa sicuramente intensificare gli sforzi di ricerca e salvataggio laddove necessario e garantire che le navi nel Mar Mediterraneo, siano esse di organizzazioni non governative o mercantili, non affrontino ostacoli quando soccorrono e sbarcano le persone in difficoltà, in ottemperanza al diritto marittimo internazionale. Non ci si può abituare a vedere morire uomini, donne e bambini in mare, così come è inaccettabile che l’Italia e altri Stati membri possano pensare di fare affidamento prevalentemente sull’intervento della Guardia Costiera Libica, che spesso conduce le persone nuovamente nei centri di detenzione libici, dove queste sono vittime di detenzioni arbitrarie, violenze, torture e altri orrori inenarrabili, che non risparmiano le persone più fragili e indifese. La Libia non è un porto sicuro e nessuno dovrebbe esservi ricondotto in alcun modo. Accanto al rafforzamento delle operazioni di ricerca e soccorso da parte degli Stati membri e alla fine dei trasferimenti in Libia, sono necessarie ulteriori misure, a partire dalla ripresa dei ricollocamenti fra Stati membri, a supporto degli Stati costieri di primo arrivo. Tali accordi possono contribuire a garantire un’accoglienza maggiormente programmata e sicura dopo lo sbarco, ma rappresentano solo un primo passo verso soluzioni strutturali più sostenibili e radicate nella legislazione e nella politica europee. Non da ultimo, il capitolo dei canali di accesso regolari, al momento fortemente sottodimensionati. Gli Stati membri dell’UE dovrebbero sostenere gli sforzi di evacuazione umanitaria, aumentare i canali regolari e gli impegni al reinsediamento. Vorrei infine spendere qualche parola sui minori coinvolti in migrazione. I diritti dei minori sono universali e si applicano a tutti i minori, indipendentemente dal loro stato migratorio. Per questo motivo, gli Stati devono rispettare, proteggere e garantire questi diritti fondamentali in ogni momento e in ogni luogo, nei Paesi di origine, durante il viaggio, nei Paesi di transito, nei Paesi di accoglienza. Questi includono la presenza di professionisti della protezione dei minori, adeguati meccanismi di referral alle frontiere, la rapida nomina di un tutore qualificato e l’accesso a cure adeguate.