di Manuela Ballo
Ci siamo. Ci aspetta stasera martedì, la seconda puntata di ” Leonardo”, la fiction destinata al pubblico italiano e agli spettatori dell’intero pianeta. Tanto clamore per niente? Di quali mirabolanti imprese lo vedremo protagonista? Se tanto ci dà tanto, pur di raggranellare qualche tacca in più nello share o per non annoiare il pubblico che si aspetta una telenovela, lo vedremo inguaiato per qualche rissa o di nuovo incarcerato per qualche stupro.
Ci sono tanti critici disposti a chiudere un occhio, o tutti e due, ponendo ai lettori questioni degne di un fantozziano dibattito: ” Da sempre si è discusso – e nessuno ne ha mai ricavato una conclusione certa – sull’efficacia di lavori come questi, nessuno è mai andato davvero a controllare se dopo la visione di un personaggio di storia e cultura l’interesse collettivo sia effettivamente cresciuto” si è chiesto Antonio di Pollina sul suo giornale, la Repubblica. Dipende, sempre per riprendere sue parole, se il “il genio è proprio come te lo aspetti”. Tutto dipende da chi artatamente crea attese e a quali pubblici rivolgi il tuo prodotto. E nessuno, in verità, si aspettava di trovarsi davanti a quel genio che la produzione ci ha proposto. Eppure a guardarlo sono stati circa sette milioni di italiani.
Qualche dubbio lo avevamo avanzato proprio sulle colonne di Culture, presentando la prima puntata. Perché gli autori hanno spinto la spettacolarizzazione oltre ogni decenza? Con parole semplici l’ha ben spiegato Matilda De Angelis, la passionale Caterina da Cremona, davanti a Mara Venier: “Questa è la storia di Leonardo, però strizzando l’occhiolino alla televisione… Non è che potevamo fare una rottura di p..”. Parole che sono un brutto segnale, un brutto messaggio per il pubblico, specie quello più giovane.
Davvero nelle fiction, specie su quelle dei grandi personaggi che hanno illuminato la storia dell’arte e della cultura, si può cambiare la storia? Si può giustificare un così rilevante abbassamento del tono culturale solo perché il pubblico, altrimenti, si annoierebbe? E chi lo dice? Ci sono produzioni nelle quali si può raggiungere un alto gradimento – e anche una dimensione internazionale- senza usare trucchi da avanspettacolo. Il dire “tanto è fiction” non giustifica il pessimo gusto né le scelte sbagliate. Inoltre troppo spesso il mondo della critica è disponibile a chiudere un occhio quando si tratta di tutelare produzioni internazionali per di più costose nelle quali, chissà perché, sembra che ci si giochi il prestigio e il ruolo dell’Italia.
Quella che ci hanno mostrato nella prima punta è una storia sostanzialmente inventata. Mi chiedo: si può inventare una storia fasulla su Leonardo? E a che pro? Pierluigi Panza, sul Corriere della Sera del 26 marzo, smonta punto per punto, attraverso il gioco divertente di domande e risposte, le molte bugie e le poche verità della fiction. Primo: Leonardo non fu arrestato per omicidio a Milano (una delle scene con più pathos). Secondo: non è mai stato trovato alcun documento che dimostri che sia stato arrestato.
Terzo: è davvero esistita Cristina da Cremona, la modella che ispira passioni, delitti e sulle cui gesta si regge quasi interamente la prima puntata? La palla è passata a Giuseppe Bossi, segretario di Brera, il quale non ha dubbi, come scrive il giornale milanese: “E’ un personaggio inventato, in quanto Leonardo conobbe una cortigiana chiamata Cremona, ma a Roma e un po’ di tempo dopo”. Quarto: il giovane Leonardo non fu mai portato dalla madre da una maga, come poteva prevedere un libretto scritto per un melodramma. Poi ci si sono le verità sulle quali è comunque bene, per gli inventori di questa fiction, mettere un po’ di peperoncino: se è vero che abbia appreso l’arte nella bottega del Verrocchio sono fantasiosi i discorsi sull’amore e sui baci che gli si mettono in bocca e che sono estrapolati e semplificati dai suoi Codici. Insomma un Leonardo che ha fatto sbottare anche Vittorio Sgarbi che, pur essendo abituato a grandi operazioni dal valore commerciale, questa volta polemizza contro una fiction che presenta il genio di Vinci come “un uomo insicuro, uno sfigato pieno di dubbi e turbamenti”, mai narrando la sua poliedrica genialità.
Sono tante le inesattezze piccole e marginali nella scrittura della sceneggiatura. Ve lo immaginate Leonardo che corre incontro al padre chiamandolo “papà, papà”? Povero Dante: aveva appena inventato la bellissima parola italiana di babbo. O il buon Verrocchio che per misurare la pesantezza della palla da issare sul campanile usa il termine “tonnellata”, coniato un bel po’ di tempo dopo? Robetta sulla quale si può passar sopra, viste le mani cosmopolite degli estensori dell’opera. E sorriderci. Su altre cose, molto più serie, non si può sorridere. Ad esempio sull’intrigante relazione con la modella. Roba da Bolero film. ” Si può mandare in carcere un personaggio storico che non c’è mai stato, con l’accusa di aver ucciso una modella che non è mai esistita? Per fiction pare di sì. Ci hanno spiegato che per fiction si può fare di tutto, anche sospettare Leonardo da Vinci di femminicidio pur di scongiurare il rischio che la sua storia si trasformi in una <>” – si è chiesto, Massimo Gramellini sul Corsera di qualche giorno fa. No, nemmeno per fiction su può deturpare la vita di un uomo che alla storia e alla cultura ha donato lasciti che meriterebbero ben altra attenzione.
La televisione mangia tutto. E fa mangiare tutto. Mette in scena la vita di cantanti, di calciatori, di star dei nostri tempi e lo fa però, con scrupolo e attenzione. I protagonisti si rivolgerebbero, in caso di storie inventate o di finte verità, ai Tribunali e le cause fioccherebbero. Chi può tutelare i personaggi storici? Ci dovrebbero pensare gli intellettuali e magari pensarci su anche le istituzioni della cultura. Merita lasciar correre: degli intellettuali s’è persa traccia e le istituzioni hanno ben altro cui pensare e il ministro Franceschini farebbe bene ad usare con più accortezza i Twitter. Diventa perciò curioso il rapporto che lega la nostra contemporaneità alla storia. Gramellini, in chiusa del suo articolo, avverte: “non ci facciamo scrupolo di rimuovere le cose vere, appena sembra che possano urtare la suscettibilità di qualcuno. In compenso introduciamo nei racconti popolari le balle più assurde. E lo scopo è sempre lo stesso: ricostruire il passato sulla misura dei nostri pregiudizi e dei nostri comodi”. E della fama mediatica e dei soldi, aggiungerei.