di Linda Salvetti
Il lavoro delle donne, troppo spesso, non fa notizia. Non è riconosciuto né dai media né, più in generale, dalla società. Per questo l’obiettivo della start up Women At Business, fondata da Laura Basili e Ilaria Cecchini, è già un apprezzato strumento per la parità di genere. Il messaggio è forte e immediato: ti appare vicino, quando scrivi, e però si allontana mentre si guarda in faccia la realtà di tutti i giorni. Capita a tante persone, capita anche a me sia come studentessa sia come donna. Basta leggere un giornale, o accendere la tv, guardare gli spot pubblicitari “dei prodotti per la casa”, per trovarsi davanti ad un nuovo caso di misoginia. Dominano nei media stereotipi volgari e di poco gusto che si basano sulle disparità sociali, culturali e politiche nel mondo del lavoro e non solo. Tutto ciò contribuisce a creare il clima nel quale si alimenta la violenza nei confronti delle donne.
Nel settembre 2015, 193 paesi membri dell’Onu hanno sottoscritto un programma d’azione per le tutelare il pianeta e la prosperità delle persone. E’ la famosa “Agenda 2030” che contiene 17 obiettivi per lo Sviluppo sostenibile. Al quinto punto è indicata la necessità di raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze. Questo obiettivo e messaggio è stato fatto proprio e amplificato da Women at Business.
Lo ha fatto attraverso un nuovo Manifesto del lavoro al femminile, da cui ripartire insieme alle aziende e attraverso le donne. “To-get-her” è il motto in base al quale “non si è mai troppo giovani o troppo vecchie per desiderare un futuro per sé”. Difatti, la community – che già conta più di quattromila iscritte – grazie a un algoritmo di matching sofisticato, Wab, mette in contatto i profili professionali delle donne con le aziende, nel rispetto delle loro competenze e delle loro reali aspirazioni. Per costruire un percorso di lavoro caratterizzante, nonostante gli steccati e le barriere di stereotipi che rendono ancora oggi difficile sia l’affermazione di genere sia la crescita in consapevolezza al femminile all’interno del mondo del lavoro.
L’otto marzo, per la giornata internazionale della donna, mentre il presidente Sergio Mattarella e il nuovo presidente del consiglio Mario Draghi, ricordavano alla nazione “quanto ci sia ancora da fare per raggiungere l’obiettivo della parità di genere”, si è svolto in diretta streaming – all’interno dell’iniziativa del Comune di Milano “I talenti delle donne” – il primo incontro di Women at Business che ha visto protagoniste alcune significative voci femminili, come quella delle pedagogiste Elena Urso e Elisabetta Rossini. Poi sono arrivate le voci di nuove imprenditrici e manager, come Marta Neuroni e infine della cantante Lucia Minetti che ha aperto l’evento con “Là vie en rose”, come auspicio e speranza di ritorno al lavoro e alla normalità di tutto il mondo dello spettacolo e della cultura, tra i più penalizzati della pandemia.
E così, l’otto marzo ha perso l’apostrofo, e il numero si è trasformato in verbo: “Lotto marzo”. È diventato così importante ricordare le esperienze di queste donne, i loro talenti, e i loro racconti nel costruire imprese ed occupare ruoli generalmente assegnati a figure maschili. Nel campo della tecnologia, dell’informatica e della finanza. E ancora, dar voce a esempi concreti, come la creazione da zero di un’impresa di moda legata ai paesi africani che si fonda sulla solidarietà, sulla sostenibilità e sull’integrazione sociale. Perché la strada da fare per superare la semplificazione delle cosiddette “quote rosa” e per scardinare le false credenze di genere, derivanti da un’educazione errata e sterile che per troppo tempo ha relegato le donne a ruoli subalterni, è ancora lunga, nonostante siamo ormai lontane dalle lotte femministe e i maggiori diritti sembrino conquistati e acquisiti.