Cinque anni fa, il 19 febbraio 2016, moriva a Milano Umberto Eco, il semiologo, scrittore, indagatore di tanti saperi diversi, bibliofilo, studioso del Medioevo grazie al quale aveva partorito un romanzo-capolavoro come Il nome della rosa, tra i fondatori della casa editrice Bompiani. Era nato ad Alessandria nel 1932 e della sua capacità di studiare e divulgare tanto Tommaso d’Aquino come affrontare Topolino, di giocare seriamene con la letteratura e le conoscenze come di affrontare battaglie politiche e civili senza affiliarsi a un partito, hanno detto in tanti e bene. Non guasterà allora riprendere qualche passaggio di quanto scrive oggi sul Fatto Quotidiano un suo amico e intellettuale di altissimo livello, Furio Colombo.
Scrive tra l’altro Colombo: «Quando Eco è arrivato alla fine della corsa eravamo ancora i responsabili (lui, io e Jacques Le Goff che ci aveva appena lasciati) di un Manuale interattivo per le scuole elementari del mondo (sempre progetti modesti) sul tema “Accettare la diversità. Contro ogni razzismo”. Ci era stato affidato dalla Académie Universelle des Cultures di cui eravamo membri (fondatore, Elie Wiesel). Descrizione di Eco: “Un impegno di lotta permanente contro l’intolleranza, la xenofobia e per la difesa dei diritti umani”. Tutto ciò spiega il fatto (lo abbiamo scoperto dopo, io dal suo libro Il pendolo di Foucault) che durante una parte della nostra vita (da piccoli, da scolari, quando non ci conoscevamo), Umberto Eco e io eravamo lo stesso bambino: Resistenza, partigiani, antifascismo, uomini che salgono in montagna, retate, uomini impiccati, l’antifascismo non come parte che poi si rammenda, ma come la patria (parola altrimenti era diventata fascista e inusabile) cui appartenere».
Lo scrittore, saggista, già direttore dell’Unità oltre ad altri mille incarichi rimarca anche come Eco perseguisse la sua strada anche quando c’era un prezzo da pagare: «Umberto sapeva benissimo che un grande autore, già al di là della celebrità (vedi i premi letterari mondiali e la lista delle sue lauree ad honorem in centinaia di università del mondo), non deve irritare la sua sterminata massa di lettori con posizioni fastidiose e impopolari sul razzismo. Umberto non ne ha mai tenuto conto. Quando nel viaggio a Timbuktu (1995) ha fondato l’ “Antropologia al rovescio” (lo studio del comportamento dell’uomo bianco, analizzato da esperti africani), persino per lui il cerchio di amicizie si è ristretto».
Furio Colombo: «Umberto Eco era per i diritti umani, antifascista, contro il razzismo»
Lo scrittore e giornalista sulle colonne del "Fatto" rievoca tratti essenziali del semiologo, narratore e bibliofilo scomparso cinque anni fa
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19 Febbraio 2021 - 11.21
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