Massimo Franco, inviato e notista politico de Il Corriere della Sera, ci racconta nella nuova edizione del suo libro, C’era una volta Andreotti – Ritratto di un uomo, di un’epoca e di un Paese (Solferino, 528 pp., 16 euro) pubblicato nel 2019 a 100 anni dalla nascita, un Giulio Andreotti come forse non lo abbiamo mai conosciuto. Da quanto si legge, in queste pagine si trova il privato e non si trovano risposte ai misteri e alle ombre che hanno accompagnato l’uomo ai vertici della Dc e della politica del dopoguerra
Giulio Andreotti, nato a Roma il 14 gennaio 1919, è stato un politico, scrittore e giornalista italiano. Come politico ha ottenuto il maggior numero di incarichi governativi nella storia della repubblica. Si è sposato con Livia Danese, dalla quale ha avuto quattro figli.
Nel luglio 2007 ha donato l’archivio personale all’Istituto Luigi Sturzo, incrementando poi la dotazione documentaria fino alla scomparsa, il 6 maggio 2013.
Oltre ai documenti donati dallo stesso Andreotti, i figli hanno trovato delle buste nel fondo di una vecchia scrivania nel’appartamento di corso Vittorio Emanunele II a Roma.
Circa trecento lettere che ci mostrano il lato più intimo di una figura austera al pubblico, mentre parla con la moglie, chiamandola affettuosamente Liviuccia.
Si confidava con lei, le raccontava le sue giornate, dove mangiava, chi incontrava, raccontando ogni cosa con minuzia di dettagli. Sullo sfondo di questa quotidianità, ogni tanto, spuntano eventi storici della Roma del dopoguerra, come l’elezione del Papa Paolo VI nel 1963 o il racconto dell’ictus che colpisce il presidente della Repubblica Giovanni Segni nel 1964.
Alla fine delle lettere si firmava con Giulio certe volte, altre con il nome in latino, Iulius, sottolineando la firma.
”In quelle pagine – scrive l’autore – scorre il trantran ministeriale di un marito in città o fuori per lavoro, mentre moglie e quattro figli sono al mare o in montagna, o aspettano il suo ritorno a Roma. Le prime lettere portano la data del 1947, quando Andreotti cominciava ad affacciarsi ai piani alti del potere politico, e si fermano più o meno a metà degli anni Sessanta”.
Si apre così una finestra privata su un rapporto durato 60 anni, che Giulio Andreotti si era premurato di tenere riservato, ma che ci fa scoprire una personalità poliedrica, dal suo pessimismo sulla natura umana alla sua capacità di affrontarlo con ironia, fino alla tenerezza con cui si rivolge alla moglie. Certo, da quanto si legge nelle note di agenzia non scopriamo qui i lati nascosti della sua azione politica che ha lasciato aperti tanti interrogativi sulla storia del nostro paese e, appunto, troppe ombre.