di Antonio Salvati
Un libro molto atteso non solo dagli specialisti, quello presente nelle librerie da pochi giorni di J. Durand, U. Gentiloni Silveri, A. Giovagnoli, M. Impagliazzo (a cura di) Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi (Laterza 2021, pagine 416, euro 28,00). Un libro bello ma soprattutto utile perché copre uno spazio della conoscenza. Inoltre – sottolinea Agostino Giovagnoli – rafforza la consapevolezza che la conoscenza storica non è cosa del passato: «nel complesso mondo globale, anzi, sotto la spinta del presentismo, è invece sempre più necessario fare storia e leggere storia. Per vivere un mondo così articolato e diversificato, ci vuole più cultura e più cultura storica». Assistiamo con rammarico allo scarso peso che il pensiero storico ha nel discorso pubblico contemporaneo. Talvolta, le evocazioni di carattere storico – sia in ambiti privati che nei talk show televisivi e radiofonici – indulgono verso una sorta di nostalgismo, una memoria dei bei tempi andati. Lo studio della storia non significa erudizione né raggiungimento di risultati definitivi. È, invece, – aggiunge Giovagnoli, analizzando il pensiero e l’opera dello storico Andrea Riccardi – «la comprensione della profondità delle storie, delle persone e dei gruppi, che consentono non solo di capire ma anche di integrare». È umiltà, e non pregiudizio o stereotipo: quella che lo storico francese Henri-Irénée Marrou chiamava l’umiltà di «ripensare, richiamare, rianimare il passato». In tal senso, la cultura storica aiuta a realizzare, almeno un pò, quella che Riccardi ha definito «civiltà del convivere».
Questo volume, pensato come omaggio ad Andrea Riccardi per i suoi settant’anni, ha il grande pregio di approfondire i principali temi che hanno interessato il suo pensiero e la sua opera. Storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione dal 2011 al 2013, presidente della Società Dante Alighieri, opinionista, Andrea Riccardi è uno dei principali protagonisti del dibattito sociale, politico e religioso in Italia e all’estero. È assai arduo analizzare e sintetizzare la sua ampia produzione storiografica. Non tutto ciò di cui Riccardi si è occupato viene menzionato e analizzato in questo libro.
Giovagnoli sottolinea l’impostazione laica di Riccardi e l’attenzione alla dimensione del sacro nelle sue espressioni più diverse. L’attività di ricerca di Riccardi si intreccia e si sviluppa in dialogo con le grandi questioni storiche, culturali e politiche degli ultimi cinquant’anni: dalla globalizzazione alla convivenza multiculturale, dal problema della guerra al ritorno dei nazionalismi, dal ruolo dell’Europa a quello delle grandi religioni mondiali. Su queste ultime si sofferma in particolare il contributo di Marco Impagliazzo. Religioni, dialogo e pace, spiega Impagliazzo, rappresentano uno snodo cruciale sul quale Riccardi si è molto interessato con particolare riferimento al contesto mediterraneo e al rapporto tra le religioni abramitiche: ebraismo, cristianesimo, islam. Impagliazzo descrive la genesi dello «spirito di Assisi», a partire dall’iniziativa – cui collaborò anche Andrea Riccardi – presa da Giovanni Paolo II nel 1986 per invitare le religioni mondiali a dissociarsi dalla violenza e dalla guerra e ad assumere in modo prioritario l’impegno per la pace.
L’orizzonte culturale di Andrea Riccardi è decisamente ampio e la sua sensibilità e i suoi interessi gli hanno consentito di spingersi lontano e lungo sentieri poco battuti. Su di lui ha fortemente influito il contesto degli anni Sessanta, come le vicende legate alla decolonizzazione e in particolar modo eventi internazionali quali il Concilio Vaticano II e la contestazione del Sessantotto (proprio nel 1968 fonda quella che sarebbe diventata la Comunità di Sant’Egidio). Nel corso degli anni Riccardi è riuscito ad accumulare un vasto patrimonio di conoscenze, ricordi e, soprattutto, interrogativi. Chi lo conosce sa che percorrere le vie della storia è stato per lui quasi un altro modo di viaggiare. Non si contano i libri di storia che ha letto e i viaggi che ha compiuto. Scrivere di storia – ricorda Giovagnoli – gli ha permesso di raccontare di uomini e donne, descrivendo attraverso le loro vicende l’inestricabile intreccio che collega società, cultura, religione, politica.
Chi lo conosce sa che a Riccardi la storia piace e ciò si riflette nella sua scrittura che privilegia una chiara chiave narrativa, privilegiata rispetto ad altri approcci. Tuttavia, la sua narrazione, affronta problemi cruciali e complessi, a cui cerca risposte proprio attraverso l’approccio storico. Si è interessato principalmente di storia contemporanea e, non è rimasto estraneo alle vicende di cui si è occupato. Di alcune ha preso parte, dentro e fuori le pagine che scrive. Nella contemporaneità Riccardi sa sempre cogliere il peso delle eredità di lungo periodo che la segnano in modo spesso sotterraneo ma profondo. È un piacere leggere e ascoltare Riccardi. Infatti, la sua chiara narrazione storica passa attraverso l’analisi di molti profili diversi: da quelli della storia sociale a quella culturale, dalla storia urbana a quella religiosa.
Sono a lui profondamente debitore per quanto concerne le mie conoscenze storiche. Da lui ho appreso, innanzitutto, la storia sociale e urbana di Roma. Attraverso i suoi scritti ho compreso le vicissitudini del Mediterraneo e le dinamiche che lo caratterizzano, nonché il ruolo in esso esercitato dalle religioni monoteiste. Sempre attraverso i suoi volumi ho conosciuto i papi del novecento. Riccardi ha affrontato, da punti di vista originali, la grande questione dei genocidi e delle stragi del XX secolo. Tutti i suoi studi rimandano – sostiene giustamente Giovagnoli – ai «nessi che legano ogni vicenda al proprio tempo: proprio il tempo – inteso in senso storico e cioè come l’insieme degli uomini e delle donne che lo abitano – è infatti il principale protagonista dei suoi libri e dei suoi saggi. Benché dedicati a figure e temi diversi, i suoi studi compongono un grande affresco del Novecento e dei primi anni del XXI secolo. È un Novecento diverso dal «secolo breve» incentrato sulle ideologie e sui totalitarismi: quello di Riccardi è piuttosto un secolo animato da popoli e società, culture e religioni eredi di lunghi percorsi precedenti e protagonisti anche di vicende importanti del XXI secolo».
Gli altri saggi contenuti nel volume, di grande spessore, rinviano a universi religiosi in dialogo come quello di Roberto Morozzo della Rocca e di Adriano Roccucci. Il primo riguarda un piccolo paese, l’Albania – che ha profondi legami storici con l’Italia e di cui Riccardi si è occupato – e ricostruisce l’«impetuosa» rinascita della Chiesa ortodossa d’Albania. Il secondo si collega invece agli studi di Andrea Riccardi sulle relazioni tra il Vaticano e il blocco sovietico negli anni della guerra fredda. Roccucci ricostruisce l’importante incontro tra il patriarca ortodosso di Mosca, Aleksij, e quello di Costantinopoli, Athenagoras, nel 1960. Degno di interesse anche il saggio di Alberto Melloni che ripercorre il cammino ecumenico per l’unità delle Chiese. Anna Foa, invece, si occupa dell’atteggiamento di Pio XII verso la Shoah, indicandola come un’«occasione mancata» da parte della Chiesa cattolica (ma con il Concilio Vaticano II, spiega, l’iniziativa contro l’antisemitismo è venuta proprio da questa). Ugualmente Dominique Durand tratta l’annoso tema di Pio XII e la Shoah, tema tornato all’attenzione dopo l’apertura degli archivi vaticani per il periodo relativo al pontificato di Pio XII. Del comportamento di questo pontefice riguardo alla persecuzione e al genocidio degli ebrei in Europa ad opera del nazismo, Andrea Riccardi ne ha scritto fin dagli anni giovanili, per poi parlarne più estesamente in altri testi.
Osservo, infine, che questo volume rappresenta anche un ulteriore incoraggiamento a fronteggiare il serio rischio di un progressivo smantellamento del sapere storico, dell’importanza della conoscenza storica. Siamo da alcuni anni spettatori e consapevoli della crescente marginalizzazione della storia nei programmi scolastici, con una riduzione progressiva del monte ore dedicato alla disciplina in tutti gli ordini e gradi scolastici. Occorre domandarsi fattivamente come divenire divulgatori efficaci della storia. Come, soprattutto, fornire ai giovani la passione per gli eventi che ci hanno preceduto, cogliendone la complessità e sapendo nello stesso tempo attrezzarli di un pensiero critico e interpretativo da utilizzare anche e innanzitutto sulla realtà della vita di tutti i giorni, personale e collettiva. E, infine, saper rispondere alla domanda che frequentemente ci viene rivolta dai ragazzi: «a che serve la storia?».