Sei candidature all’Oscar di cui uno vinto, circa 60 riconoscimenti alla carriera. Robert Duvall è un veterano della recitazione, ha calcato le scene di teatri, programmi tv, film, diventando un simbolo del cinema hollywoodiano. In attesa del suo 90esimo compleanno, ripercorriamo la vita di questa voce fuori dal coro nell’America di ieri e di oggi.
Robert Duvall è nato a San Diego (California), il 5 gennaio 1931, figlio dell’ammiraglio William Howard Duvall e di Mildred Virginia Hart, attrice dilettante. La sua famiglia ha origini francesi, tedesche e britanniche ed è discendente di Robert Edward Lee, il famoso generale confederato all’epoca della Guerra di secessione di cui lui ha vestito i panni nel film “Gods and Generals”. Inoltre, è della stirpe di George Washington, che adottò una sua ava.
Debutta a teatro nel 1952 al Gateway Playhouse di Long Island, dove conosce il regista Ulu Grosbard, diventato poi amico e mentore. Successivamente, si è arruolato nell’Esercito degli Stati Uniti e ha servito il proprio paese dal 1953 al 1954 partecipando alla Guerra di Corea. Una volta tornato, frequenta i corsi di recitazione di Sanford Meisner a New York, dividendo un appartamento con i coinquilini Dustin Hoffman e Gene Hackman.
Si imporrà in allestimenti come “Fermata d’autobus”, “Il delitto perfetto”, “Un tram che si chiama desiderio”. Diretto da Grosbard nel ’57 interpreta Eddie Carbone in “A View from the Bridge”, il suo maggiore successo che gli vale un premio e la considerazione della scena Off Broadway. Nel corso del 1960 è apparso regolarmente in televisione come guest star, spesso in serie d’azione, drammatiche e poliziesche.
Il suo esordio al cinema arriva con “Il buio oltre la siepe” (1962), dove interpreta il ruolo di un malato di mente a fianco di Gregory Peck.
A partire dagli anni ’60, incrocia i giovani maestri di quella formidabile generazione: dopo “La caccia” di Arthur Penn (1966) e “Conto alla rovescia” (1968) di Robert Altman sarà la volta di Coppola al debutto con “Non torno a casa stasera” (1969), George Lucas (“L’uomo che fuggì dal futuro”, 1971) fino all’inatteso trionfo de “Il padrino” (1972) che gli vale la prima di sei candidature all’Oscar. Vincerà invece la statuetta nel 1984 con “Tender Mercies” di Bruce Beresford.
Il successo internazionale arriva grazie a film come “Il padrino” (1972) e “Il padrino – Parte II” (1974), in cui interpreta il ruolo di Tom Hagen, figlio adottivo e consigliere di Don Vito Corleone (Marlon Brando). Duvall e Coppola torneranno insieme ne “La conversazione” e soprattutto in “Apocalypse Now” (1979) quando Duvall indossa l’uniforme del colonnello Kilgore. Tra i tanti registi con cui ha lavorato negli anni ’70 spiccano Bob Altman con il trionfale successo di “MASH”, Sam Peckinpah in “Killer Elite”, Sidney Lumet (“Quinto potere”), Monte Hellman (“Io sono il più grande”). Nel ’79 raggiunge la popolarità con “Il Grande Santini” che lo riporta nella cinquina dei finalisti all’Oscar e nell’81 vince la Coppa Volpi a Venezia con “L’assoluzione” del suo amico/maestro Ulu Grosbard. Dopo l’Oscar dell’84, Duvall si allontana dal cinema, prediligendo il piccolo schermo, cimentandosi nei ruoli di produttore e regista, ottenendo grande successo con “L’apostolo” (1997).
Repubblicano convinto, è da sempre legato alla Casa Bianca, con cui ha avuto rapporti al tempo dei Bush, padre e figlio. Ha fatto perfino campagna elettorale per John McCain e Sarah Palin. Dopo la vittoria di Trump nel 2016, si è dissociato dal partito, definendo i repubblicani di oggi un “autentico pasticcio”. Si è dunque impegnato con la moglie Luciana Pedraza in opere sociali a favore dei poveri d’Argentina (il suo paese d’elezione dove si rifugia appena può) costruendo scuole, dispensari, case popolari.
Nel 2021 torna sullo schermo in “12 potenti orfani” di Ty Roberts con l’amico Martin Sheen e in “Hustle” di Jeremiah Zagar.