La comunità di San Patrignano contro la docu-serie di Netflix

"SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano" è iniziata e si basa su testimonianze e archivi, ma nell'organizzazione non l'hanno presa bene

La comunità di San Patrignano contro la docu-serie di Netflix
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2 Gennaio 2021 - 18.36


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La docu-serie originale italiana Netflix  SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano è da pochi giorni disponibile ed ha già scatenato una bufera di polemiche da parte della comunità, che l’ha definita versione “unilaterale”.
A creare la prima serie prodotta nel nostro paese da Netflix sono stati Gianluca Neri che l’ha scritta con Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli, con la regia di Cosima Spender, ed è frutto di tre anni di lavoro e di ricerca negli archivi con la collaborazione di Andrea Muccioli, il figlio del fondatore Vincenzo Muccioli. ”La comunità San Patrignano si dissocia completamente dalla docu-serie messa in onda da Netflix”, commentano da San Patrignano.

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La serie, disponibile dal 30 dicembre, è formata da cinque puntate da un’ora e attraverso 25 testimonianze, 180 ore di interviste e immagini tratte da 51 differenti archivi ripercorre in cinque episodi il ventennio di gestione di SanPa da parte di Muccioli, dal 1978 al 1995, anno della sua morte, offrendo uno spaccato del contesto sociale, economico e politico del Paese di allora.
Ma questo lavoro apre anche una riflessione sulla controversa comunità di recupero dalle tossicodipendenze che da sempre ha diviso l’Italia, vista da molti come un paradiso e da altri come un luogo oscuro pieno di segreti terribili.

“Per trasparenza e correttezza – spiega la Comunità di San Patrignano – abbiamo ospitato per diversi giorni la regista della serie la quale è stata libera di parlare con chiunque all’interno della comunità, e abbiamo inoltre fornito l’elenco di un ampio ventaglio di persone che hanno vissuto o tuttora vivono a San Patrignano e della quale conoscono bene storia passata e presente, in modo da poterle dare gli strumenti necessari per una ricostruzione oggettiva e informata. Tale elenco è stato totalmente disatteso, ad eccezione del nostro responsabile terapeutico Antonio Boschini, preferendo lasciare spazio ad un resoconto unilaterale che paia voler soddisfare la forzata dimostrazione di tesi preconcette”.

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La comunità di San Patrignano nasce nel 1978 per mano di Vincenzo Muccioli, il quale trasforma un casolare di sua proprietà su una collina a due passi da Rimini nella più grande comunità per tossicodipendenti d’Europa. “Una città con più di duemila ospiti che cercano di ricostruirsi una vita lavorando la terra, producendo vino, formaggi e pellicce, stampando riviste e allevando polli e cavalli di razza, visitata da capi di governo e ministri in pellegrinaggio alla ricerca di propaganda politica anti-droga”, scrive il giornalista Luciano Nigro oggi su Repubblica.

Il fondatore, Vincenzo Muccioli è stato una delle figure più controverse degli anni Ottanta e Novanta. “Un santo per chi vedeva in lui e in San Patrignano l’unica speranza per i figli, un truffatore che ha costruito un impero sulla violenza per altri”, dice il giornalista nel suo articolo. Ambivalenza sulla quale anche Netflix pone l’accento.
“Li curano con il lavoro, diceva qualcuno. Un posto strano gestito da un santone con 12 apostoli che si fa dare denaro dai Vip, secondo altri”, riporta ancora Nigro.

Poi un giorno di ottobre 1980, la polizia arresta Muccioli. Avevano trovato alcuni ragazzi incatenati nel canile e nella piccionaia, tra lo sterco e al freddo. Muccioli rimane in carcere un mese, ma la gente è con lui. Due anni dopo viene assolto.
Nel 1993 salta fuori il caso Maranzano: un ragazzo pestato a morte, nella macelleria, torturato con le scariche elettriche per i maiali e poi il cadavere era stato gettato in una discarica vicino a Napoli. Dissero che era scappato. E invece era stato massacrato di botte nella macelleria. Le condanne andranno da 6 a 10 anni per gli autori mentre a Muccioli vennero dati solo 8 mesi.

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Malgrado questi episodi, fuori dalla comunità la fila di madri e di ragazzi disposti a sopportare ogni tipo di sofferenza per liberarsi dalla dipendenza dalla droga era sempre più folta. In tanti invece scappavano.
Correvano e corrono ancora le voci più disparate sulla comunità. Santo o santone Muccioli? C’è un limite ai metodi di cura? Per salvare un tossicodipendente è ammessa qualunque cosa, anche la violenza? Non c’è il rischio che metodi del genere sfuggano di mano? Netflix nella sua docu-serie fa emergere tutte queste domande.

La comunità afferma sulla vicenda:
”Per la nostra parte, continueremo, con l’impegno che da sempre ci contraddistingue, ad essere al fianco di tutti coloro, e delle loro famiglie, che intraprendono il percorso di recupero dalla dipendenza e ad aiutare gratuitamente quanti avranno bisogno di noi”.

Qui il trailer della docu-serie.

di C.G.

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