di Linda Salvetti
Era il 23 febbraio del 2020 e due tra i più grandi brand del pret-à-porter italiani, Armani e la maison romana Biagiotti, decidevano di far sfilare le loro collezioni a porte chiuse, in un teatro vuoto, senza ospiti, né fotografi o giornalisti. Così l’emergenza presentava il conto all’alta moda. A seguire anche altri grandi brand italiani come, Prada, Versace, Ferragamo hanno scelto di dare priorità alla sicurezza, visto anche l’aggravarsi della situazione per le diverse ondate pandemiche.
Un duro colpo per il settore Fashion & Luxury, che è una componente essenziale della filiera del Made in Italy e settore trainante per l’economia e l’immagine Italia: dà lavoro a 1,2 milioni di persone in tutto il paese e chiuderà, quest’anno, con una perdita del 29% del fatturato, stimata a circa 30 miliardi di euro. “Una battuta d’arresto senza precedenti” – ha confermato Nadia Portioli, analista del centro studi Mediobanca, in un’intervista sul Sole 24 Ore – “per il settore moda la peggiore dell’era moderna”.
Insieme alla crisi sono nate, per fortuna, nuove formule per riprendere il dialogo con i consumatori tutte incentrate verso lo sviluppo di una nuova creatività e con l’ausilio degli strumenti tecnologici messi in campo soprattutto dall’implementazione del digitale, che ha contestualmente mutato anche le nostre abitudini di consumo, oltre che il nostro modo di vivere e percepire l’immagine.
I consumi sono diventati per lo più online, a base di soli click, registrando vendite record attraverso le piattaforme dell’e-commerce. Si è confermata l’importanza dei mercati asiatici e in particolare della Cina, che aveva subito un forte arresto durante la crisi pandemica. “Abbiamo cercato di impiegare tempo del lockdown nel training, abbiamo potenziato il nostro e-commerce anticipando lo sviluppo di circa due anni, estendendo il servizio da 8 a 15 paesi”, ha raccontato al Sole 24 Ore, Jean Cristophe Babin, ceo della maison Bulgari, oggi parte del colosso Lvmh. Allo stesso tempo, come ci dice, sempre sul Sole 24 Ore, Diego Della Valle – presidente di Tod’s Group – nel pieno di un processo di trasformazione verso il digitale sempre più incisivo, “l’heritage” da solo non basta più”, bisogna trovare nuovi mezzi per affrontare le sfide globali. Ancora una volta, la comunicazione mantiene un ruolo determinante, unita ad un linguaggio e dei canali media in continuo sviluppo, per arrivare a dialogare con la nuova generazione di “consumatori informatici”.
È in quest’ottica che Giorgio Armani, decide di raggiungere per la prima volta il grande pubblico e trasmettere, in diretta su una rete televisiva, la sua collezione primavera-estate 2021, in calendario, a porte chiuse, nella Milano Fashion Week del settembre scorso. Una “chiusura” che non è tale dal momento che ai più è apparsa come un’apertura e una spinta al cambiamento: suggerisce e invita a rallentarne i ritmi frenetici, sia nelle sue performance di presentazione, sia nei prodotti realizzati. Un processo che tende a rendere la moda più vicina alle persone, alla realtà del quotidiano, e soprattutto più etica e responsabile.
Troverà la moda la sua “reinassance”, in questo mutato scenario? La moda non si rassegna a perdere il suo ruolo di osservatrice dei costumi e di anticipatrice di tendenze. Un ruolo che, insieme all’arte nelle sue forme più alte e espressive, ha sempre guidato ispirazioni e proposte. La scelta obbligatoria, oltre alla digitalizzazione, è senz’altro quella di adottare nuovi modelli e processi produttivi e distributivi. Ormai la parola chiave è sostenibilità. Una moda che diventerà sempre più “green” e più “slow”; una moda dunque, più sostenibile. I prossimi appuntamenti di stagione tra sfilate virtuali, presentazioni in 3D e realtà aumentate, diranno se lo show della moda potrà riprendere il suo cammino e produrre il suo benefico effetto sull’economia italiana. L’export, insieme al turismo, saranno i termometri della ripresa.