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di E.L.V.
Non solo più cervelli in fuga, oggi anche pennelli in fuga. Come i giovani ricercatori, dopo essersi formati, decidono di impacchettare la loro vita per partire verso paesi che offrano migliori opportunità lavorative, così i fumettisti e gli illustratori posano l’inchiostro e mettono via le matite e le tavole da disegno per portarle all’estero, in un qualsiasi altro paese che non sia l’Italia.
È un fenomeno triste, ma allo stesso tempo paradossale, se pensiamo a fumettisti dal calibro di Zerocalcare che con il suo ultimo lavoro “Scheletri” (clicca qui per la notizia), è volato in cima ad ogni classifica ed è l’autore più letto del momento, superando ad esempio scrittori come Ken Follett o Andrea Camilleri. Ma il punto è proprio questo: non tutti sono Zerocalcare o Makkox – per citare il nome di un altro grande fumettista – che hanno avuto sia la possibilità sia la fortuna di fare della propria passione il loro amato lavoro.
Ad incentivare tale fenomeno, di cui non è possibile dare cifre precise, non è solo lo scarso mercato italiano che non è in grado di assorbire a pieno la quantità dei talenti che continua a crescere, ma è anche l’utilizzo delle tecnologie digitali che facilita l’interazione del lavoro con ambienti stranieri. A denunciarlo è lo stesso Luigi Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero, in un’intervista all’Ansa: “Moltissimi disegnatori formati nelle scuole di fumetto in Italia hanno poi un’esperienza all’estero. Sono bravi, padroneggiano le tecnologie digitali e riescono quindi ad inserirsi facilmente nelle produzioni internazionali, anche realizzando volumi venduti in centinaia di migliaia di copie”. In particolare, ha citato come esempio tre nomi di disegnatori che fanno parte della folta schiera in fuga: Enrico Marini, che lavora in Francia e collabora con lo studio americano DC Comics; Laura Zuccheri, anche lei attiva nel mercato francese; Angelo Libutti, che opera in Canada da oltre vent’anni ed è fumettista dei Walt Disney Studios per oltre trenta pellicole. Si evince dunque che le mete in cui si cerca di trovare fortuna siano perlopiù la Francia, la Germania e gli Stati Uniti, anche se le ultime tendenze – e niente lo farebbe pensare – si registrano in paesi con un mercato emergente del fumetto, quali la Cina, la Corea, l’India e il Brasile. In altre parole, dalle dichiarazioni di Vignali, sarebbero paesi che tentano di valorizzare le professioni artistiche e che cercano di dare una profonda importanza al capitale umano in arrivo, facendo in modo di trattenerlo con sé. Tutto il contrario di come accade qui.
Negli ultimi tempi, però, dinanzi a questa dilagante e preoccupante fuga di matite e pennelli, che in realtà rientra nel più grande fenomeno generazionale della fuga dei cervelli, qualcosa sembra essersi mosso. Con il Decreto Crescita 2019, ad esempio, sono state pensate diverse iniziative, nonché sono stati garantiti numerosi incentivi, per favorire il ritorno in Italia dei ricercatori e dei lavoratori attualmente all’estero. Ottime misure che potrebbero essere estese alla categoria dei disegnatori, se non a quella più ampia degli artisti. Del resto, come scritto poche righe più sopra, questo fenomeno è e resta un paradosso: l’Italia, un paese che vanta nel mondo un grande patrimonio artistico, lascia fuggire i suoi artisti. Un po’ come una mamma che abbandona i propri figli e che sa che non li rivedrà mai più. E alla fine, si lascerà andare fino a diventare la culla di una bellezza sfiorita e di un’arte decadente.