di Antonio Salvati
Un tratto che caratterizza il nostro tempo è la paura. Viviamo in una stagione di tante paure. Questo spiega il nostro spaesamento e le difficoltà a confrontarci con la realtà, sia in termini culturali che politici. La paura non è una novità. Da sempre ha accompagnato l’uomo e la donna. Ma ci sono paure tipiche del nostro tempo. Negli ultimi decenni, le nostre paure di fronte al mondo sono cresciute. Un esempio eloquente è quello dell’immigrazione con la conseguente paura di un’“invasione” del nostro paese e del cambiamento del nostro modo di vivere. L’ostilità nasce spesso solo dall’ignoranza e dal timore, abilmente manipolati dagli imprenditori della paura, ma sappiamo che «il sonno della ragione genera mostri», per dirla con Goya. Alla paura Vito Mancuso ha recentemente dedicato un libro Il coraggio e la paura (Garzanti 2020, pp. 144, € 12).
Il teologo e docente all’università di Padova tiene tra l’altro una lectio domani sabato 11 alle 15 nell’incontro su “Scienza, cultura e fede” al monastero di Fonte Avellana (in provincia di Pesaro-Urbino) inserito nel Festival del giornalismo culturale nelle Marche iniziato oggi a Palazzo Ducale a Urbino e che prosegue nel monastero appunto domani e domenica (clicca qui per il programma).
Giovanni Falcone: saper convivere con la paura
Per meglio comprendere il senso del volume Mancuso appone in apertura del suo ultimo libro una delle più famose e citate frasi di Giovanni Falcone: «L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza». Subito Mancuso invita a sfatare il pregiudizio che la paura sia sempre qualcosa di negativo e il coraggio sia solo una qualità positiva. «Senza paura si ha temerarietà, ovvero ignoranza che produce sconsideratezza, in quanto si ignorano le preziose informazioni trasmesse dalla paura con tutte le conseguenze che ne derivano». Lo stesso vale per il coraggio: «esso non è il contrario della paura, perché il contrario del coraggio è la viltà, la codardia, la vigliaccheria. Il coraggio anzi presuppone la paura, nel senso che si può essere coraggiosi solo sapendo cos’è la paura e superandola mediante l’azione del cuore detta per l’appunto coraggio».
Che fare quindi delle proprie paure che ci afferrano, ci tagliano il respiro, generando angoscia e, talvolta, persino produrre terrore, il livello più alto della scala della paura? Serve innanzitutto saper distinguerle, riconoscerle con la consapevolezza che esse nascono dallo «scorgere l’orizzonte più ampio e per questo mai completamente controllabile dentro cui viviamo». La vita – avverte Mancuso – non sarà mai completamente sotto il nostro controllo, «ne saremo invece sempre inevitabilmente controllati, sottomessi, sottoposti e alla fine, scusate se lo dico, anche sotterrati». Mancuso invita a far tesoro della saggezza esistenziale e spirituale distillata lungo i secoli da chi ci ha preceduto seguendo la letteratura e il pensiero di ogni epoca e luogo (spaziando da Omero a Montale, da Kierkegaard a Wittgenstein, includendo ovviamente i testi sacri ebraico-cristiani e orientali), «che nelle loro esortazioni suggeriscono diversi atteggiamenti da tenere nei confronti della paura: dall’affrontarla al bandirla, all’ignorarla, a semplicemente ascoltarla, prendendo atto che esiste in noi e dobbiamo farne uno strumento di conoscenza interiore e di crescita spirituale». La Bibbia ci suggerisce, in tal senso, un sentimento calmo e serio, tradizionalmente reso con l’espressione «timore di Dio» o «timore del Signore» che genera a sua volta la più autentica sapienza, rifugio e compagna di vita: «Principio della sapienza è il timore del Signore» (Salmi 111,10), «Il timore del Signore è principio della scienza» (Proverbi 1,7), «Il timore del Signore è sapienza e istruzione» (Siracide 1,27).
Il coraggio viene inteso come atto di forza morale, fondato soprattutto sulla fiducia e sulla speranza. In parole povere, il coraggio presuppone fiducia, e la fiducia speranza. Per Mancuso è fondamentale chiedersi da cosa possiamo e dobbiamo trarre coraggio? Sono molte le motivazioni che ci spingono all’audacia e alla forza di carattere: «dall’istinto di sopravvivenza, dall’amore per i nostri cari, dal desiderio di riconoscimento sociale e di gloria, dal senso del dovere, dalla fede, dal bisogno, da un’ideologia e addirittura dalla volontà di vincere un nemico. Essenziale è avere una meta da raggiungere e un porto in cui rifugiarsi per trovare conforto».
La capacità di sconfiggere la paura di esistere
Il coraggio può essere definito come capacità di sconfiggere la paura di esistere: forse la prima che proviamo venendo al mondo e contro cui combattiamo quotidianamente. Nella vita di tutti i giorni dipendiamo un po’ dagli altri e un po’ sappiamo trarre energia motivazionale e coraggio da noi stessi e dai nostri ideali; per Mancuso siamo commercianti e nello stesso tempo idealisti, secondo quella dinamica che Manzoni chiamava «guazzabuglio del cuore umano».
Ma quando giunge la tempesta della paura, quando lo scenario assomiglia così da vicino alla situazione in cui siamo precipitati a seguito della pandemia, allora la verità di un essere umano viene a galla. Allora si capisce quali sono le «persone dotate di profondi pozzi interiori e quelle che invece hanno solo acque superficiali, senza profondità, neppure quella sufficiente per gettare l’àncora, e quindi sono completamente instabili, intrattabili, inaffidabili, dannose a sé e agli altri. Il punto è la stabilità interiore. Essa è data sostanzialmente da due elementi: 1) dall’avere una meta da cui si genera una rotta precisa e una navigazione coerente; 2) dall’avere un porto in cui rifugiarsi e gettare l’àncora quando la navigazione è impossibile». Per Mancuso un porto in cui rifugiarsi è la preghiera. Ma su questo lasciamo al lettore di apprezzare quanto contenuto nel libro.