Nella notte del 24 agosto 2016, alle 3.36, iniziò un incubo: una scossa nell’Appennino centrale polverizzò Amatrice e Accumoli nel Lazio, Arquata del Tronto nelle Marche. Nella sola Amatrice morirono 235 persone su un totale di circa 300 vittime. Era l’inizio di una lunga scia. Il 26 e 30 ottobre, e fino al 2017, il terremoto ferì gravemente le Marche centro-meridionali, la Valnerina umbra, valli e paesi. Ovunque la fine della ricostruzione sembra distante anni luce.
Presi come siamo dall’angoscia per il Covid vorremmo dimenticare, eppure in un’Italia in gran parte terra sismica si deve riflettere su come ricostruire, se non vogliamo tornare a sprecare lacrime. All’uopo provvede un’iniziativa eccellente, ad alto tasso di professionalità e fuori dai canoni usuali: è una mostra organizzata online dalla Biblioteca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell’arte, con sede a Roma, e raccoglie foto storiche sul patrimonio artistico e sulla città e le accompagna a scatti sul dopo-sisma. “Focus su Amatrice. Fotografie di un territorio sismico tra memoria e progetto”, così si intitola l’iniziativa, travalica il piano estetico pur comprendendo un gran lavoro sulla qualità delle immagini. Lo scopo non è accarezzare il fascino delle rovine che dal romanticismo in poi innerva il nostro guardare: l’obiettivo è confrontare passato e presente per scegliere consapevolmente un futuro non ancora delineato ed evitare deturpazioni, scempi e tradimenti.
La rassegna porta la firma di tre studiosi tenaci e accorti: Francesco Gangemi, storico dell’arte, già ricercatore presso l’Hertziana e il Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut; Rossana Torlontano, docente di storia dell’arte moderna all’università «G. D’Annunzio» di Chieti-Pescara; Valentina Valerio, storica dell’arte alla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali del Comune di Roma. Avvertendo che pubblichiamo una sintesi di quanto detto dai tre esperti a globalist, andando in ordine alfabetico lasciamo iniziare Francesco Gangemi: “Ci siamo incontrati per un workshop sul patrimonio artistico di Amatrice a dicembre 2016 alla Hertziana. Dopo il primo sgomento abbiamo sentito la necessità di fare qualcosa di concreto”, ricorda lo storico dell’arte medioevale. Dall’incontro era scaturita l’idea di una mostra digitale “partendo dalla fototeca della Hertziana con immagini d’archivio” e dalle fotografie scattate per un libro su Amatrice di Rossana Torlontano edito da Electa. A questo materiale se ne aggiungeva di nuovo, del post-terremoto. “Dalla sezione su Amatrice com’era e sulla sua storia emerge sia come la distruzione e la rimozione delle macerie ne abbiano azzerato la forma, sia che questa città fondata come nuova nella seconda metà del XIII secolo conservava il tracciato urbano ma aveva il centro storico molto compromesso già prima del sisma”. Come ricostruire, allora? “Un vero dibattito pubblico non c’è stato. Noi vorremmo sollecitarlo. Anche perché la risposta mediatica all’avvenimento lascia insoddisfatti. Perciò rifiutiamo il confronto facile della foto tra prima e dopo. La mostra è permanente vorremmo costruire un osservatorio online che si aggiorna”.
“Ad Amatrice sono sorprendentemente rimaste in piedi solo alcune torri, l’impianto della chiesa maggiore di San Francesco, le chiese di Sant’Agostino e di Sant’Emidio, che era anche il Museo civico Cola dell’Amatrice”, constata Rossana Torlontano. “La riflessione va estesa a tutti gli altri centri storici dell’Appennino e non so se avremo la consapevolezza di aver perso pezzi importantissimi della nostra civiltà”. Eppure le sorti del patrimonio artistico sono legate a doppio filo alla vita delle persone, alla stessa permanenza in un territorio storico. Una chiesa e un monumento annientati restano anche come lacerazioni permanenti nell’anima. A parere della studiosa, cosa può accadere? “Verrà fatto un concorso di idee dal quale noi esperti saremo esclusi, perché prevarrà l’idea che sarà fondamentale il valore dell’idea progettuale. Saremo contenti se riusciranno a far tornare leggibili gli edifici che rimandano alla città e quindi al valore che può avere per il cittadino che riconosce il territorio come proprio”.
“Nella ricerca, difficile, delle immagini storiche ci ha aiutato moltissimo la soprintendenza”, avverte infine Valentina Valerio. “Con questa prima analisi vogliamo dimostrare come la messa in sicurezza degli edifici, i puntellamenti, gli interventi dell’uomo indirizzino la ricostruzione di un impianto urbanistico azzerato. Se i pezzi storici più importanti sono nei depositi, la ricostruzione dovrà tenerne conto: vedremo un insieme di pezzi salvati in un impianto diverso? Il primo passo è riflettere su cosa era e cosa avrebbe potuto essere. Sono domande che riguardano direttamente le persone, sapendo che molti sono andati a vivere altrove”. Intanto, registra la storica dell’arte, “abbiamo avuto riscontri accorati dagli abitanti di Amatrice. Ci hanno detto che finalmente rivedono una forma della città. Parlarne aiuta a ricostruire un senso di appartenenza della comunità”. Sarà opportuno non parlarne solo per la ricorrenza del 24 agosto.
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