di Antonio Salvati
“Contaminare” deriva dal verbo latino tangere, “toccare”. In senso originario, il “contaminato” è colui che si pone a contatto con qualcosa, che si mescola con elementi eterogenei. Un sinonimo è “interdisciplinare”: parliamo di individui che si muovono tra discipline diverse. È l’oggetto dell’interessantissimo volume di Giulio Xhaet, #Contaminati. Connessioni tra discipline, saperi e culture (Hoepli 2020 pp. X-182, € 14,90), che senza esitazioni ci invita a contaminarci. In altri termini, chi intende meglio comprendere il nostro mondo e portare avanti progetti con un significato profondo deve sviluppare capacità di contaminazione: Le nuove tecnologie ci aiutano e favoriscono le interconnessioni dei saperi, delle competenze e delle professioni. Non a caso la rivoluzione digitale viene intesa come un “nuovo Rinascimento”: l’innovazione rinascimentale avvicinava l’arte alla scienza trasformando la società mostri assonanze con la rete odierna. Si pensi a Leonardo, di cui l’anno scorso abbiamo celebrato i 500 anni dalla sua morte. Fu il contaminato per eccellenza, mescolando i saperi come nessun altro. Tuttavia, il Rinascimento non disponeva di una connessione globale, di un’intelligenza collettiva e soprattutto “connettiva”), non esisteva un’officina globale a cui artisti e scienziati potessero attingere.
Oggi – spiega l’autore – abbiamo anche più tempo per invecchiare. Sappiamo quanto Amazon e Google da tempo investono nel sistema sanitario per servire una fascia di individui che lavoreranno più tempo rispetto al passato. Ormai pochi dipendenti si aspettano di fare lo stesso lavoro tutta la vita. Entro il 2050, non soltanto l’idea di “un posto per la vita”, ma addirittura l’idea di “una professione per la vita” potrebbe apparire antiquata. Spiega efficacemente Xhaet: «raggiungiamo più successi, a volte minuscoli a volte importanti, e ci schiantiamo su più fallimenti. Cambiare non sempre è più facile, ma è più fattibile. Di conseguenza, la tentazione di fuggire da ciò che siamo e abbiamo in un momento qualsiasi della vita si affaccia da ogni angolo. Il cambiamento è insieme la condanna e la salvezza di quest’epoca. Lo spirito dei tempi, lo Zeitgeist di tre-quattro generazioni che coabitano il mercato del lavoro, scalpitando frenetiche e disincantate. Inutile lamentarsi o voler tornare indietro, perché indietro non si torna. Così come è folle evangelizzare il cambiamento fine a se stesso, perché tra le sue pieghe si nascondono i mostri: stress, ansia, angoscia, depressione. Bisogna capire come farselo amico questo dannatissimo cambiamento, andarci d’accordo, giocarci insieme e addomesticarlo».
Ai tempi del Rinascimento ovviamente non esistevano gli algoritmi, i veri motori dell’intelligenza artificiale. L’algoritmo – che potremmo definire “una soluzione a un problema, articolata in un numero finito di passaggi” – muovono e influenzano l’economia. Gli strumenti digitali sfruttano algoritmi informatici sempre più raffinati generando software e applicazioni altamente evoluti. L’intera economia dei giganti tecnologici si basa su algoritmi proprietari. Le formule di questi algoritmi rimangono celate (come la ricetta segreta della Coca-Cola), e sono in continua evoluzione.
Siamo tutti maggiormente interconnessi. I mass media prima, la globalizzazione e la digitalizzazione hanno consentito alle persone di essere in potenziale contatto con tutte le altre. Non solo – precisa Xhaet – come fonte di informazione, ma anche di celebrazione e divulgazione di pensieri ed esperienze più o meno recenti. I tempi di incubazione di un’invenzione o di una reinvenzione si accorciano drasticamente: «basta che una persona racconti un’idea online, e io posso scoprirla, analizzarla, tentare di copiarla, migliorarla o sfruttarla in ambiti differenti, magari ragionandoci insieme ad altre migliaia di persone».
La velocità della diffusione delle informazioni fa la differenza. La ruota è nata intorno al 3.500 a.C. Veniva usata per lavorare la ceramica. Servirono 300 anni perché qualcuno pensasse di attaccarla a un carro, rivoluzionando i trasporti. Le persone non erano meno intelligenti, spiega l’autore. Semplicemente erano meno interconnesse. Il telefono ha impiegato 75 anni per raggiungere 50 milioni di persone che lo utilizzassero. La radio 38 anni per ottenere lo stesso risultato. La televisione sbalordì tutti all’epoca mettendoci “solo” 13 anni. Dopodiché arrivò il web: 4 anni. Facebook: 3 anni e mezzo. iPod: 3 anni. Poi si presenta il videogioco Angry Birds e zittisce tutti: 35 giorni.
In siffatto contesto per Xhaet servono sempre più persone che abbiano la capacità di affrontare problemi complessi (complex problem solving), la capacità di ragionare sapendo interpretare le informazioni e unire i puntini sparsi tra le pieghe di una situazione (critical thinking), e – soprattutto – l’attitudine nel trovare collegamenti inaspettati tra ambiti diversi, ovvero la cara e vecchia creatività. Servono i cosiddetti “Polymath”. Il termine proviene dal greco polymathes “che ha imparato molto”, a sua volta derivante dalla fusione di polys (tanto) e manthanein (imparare). Il polymath è colui che eccelle in numerose discipline e le sa unire per produrre cambiamenti e innovazione in uno o più campi. Potrebbe essere un sinonimo di contaminato. Leonardo Da Vinci è un vero e proprio archetipo di polymath. Per “assemblare un Leonardo” oggi avremmo bisogno di tredici differenti specialisti. La sua vita e il suo pensiero ci rivelano la necessità di contaminazione che percorre la società.
Contaminarsi – avverte Xhaet – non significa per forza cambiare attività o settore: «possiamo anche attingere da mondi che ci stanno accanto, irrobustendo le conoscenze e competenze specialistiche con elementi inattesi, potenziando una mentalità eclettica. Il contaminato sperimenta le diversità, ottenendo in cambio esperienze da cui attingere per migliorare progetti per lui prioritari in un certo momento della vita. Di conseguenza sa decidere le sue priorità, che potrebbero cambiare nel corso del tempo».