Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt oggi pomeriggio ha aperto personalmente i portoni della Galleria che riapre dopo 85 di chiusura da Coronavirus. Il museo-simbolo dello Stato italiano, il simbolo stesso dell’istituzione-museo, segue a pochi giorni le riaperture di ormai la gran parte dei luoghi d’arte, da Pompei al Colosseo, dalla Galleria Borghese all’Accademia del David nella città stessa di Michelangelo e dei Medici. Le misure di sicurezza sono state adottate e poco sotto ve ne diamo una sintesi, tuttavia ci pare giusto segnalare un avvenimento di forte significato simbolico e culturale che, al cospetto di Giotto, Leonardo e Botticelli, include l’arte e abbraccia principi come il rispetto reciproco, il confronto civile: nella settecentesca Sala della Niobe, quella con enormi dipinti di Rubens alle pareti e con le sculture romane da copie ellenistiche sul mito sui figli della donna uccisi dai dardi divini, alla conferenza stampa Schmidt ha invitato tre personalità la cui presenza crea un’eco benefica ovunque arrivi (e c’era la stampa internazionale, in sala): hanno preso la parola tre autorità religiose della città, ovvero il cardinal Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, Gad Fernando Piperno, rabbino capo della città, Izzedin Elzir, imam del capoluogo toscano.
Certo, hanno parlato al microfono le istituzioni con Dario Nardella sindaco, Eugenio Giani, presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Laura Lega, prefetto, è la prassi, così vuole l’etichetta. Tuttavia la presenza dei tre esponenti religiosi nel museo, in un contesto dove in apparenza non era in teoria strettamente necessaria è un gesto di grande intelligenza. La loro presenza si iscrive in una storia cittadina che vide il sindaco Giorgio La Pira cercare il dialogo interreligioso quando pochissimi lo immaginavano, eppure oggi forse l’invito acquista una risonanza globale anche maggiore quando vediamo presidenti come Trump usare la Bibbia come strumento di propaganda o quando vediamo politici italiani pregare in diretta in uno show per accaparrare consenso. E ciò avviene in una data significativa e di buon auspicio. Lo ricorda Schmidt: gli Uffizi hanno chiuso solo tre volte prima del 2020, ovverosia durante la Seconda guerra mondiale, dopo l’alluvione del 1966, dopo l’attentato mafioso del 26 maggio 1993 in via dei Georgofili che uccise cinque persone e devastò mezzo museo.
Betori, Piperno ed Elzir: «Siamo tre risposte al desiderio del cuore»
«Credo che la nostra presenza appartenga all’identità e alla storia di Firenze – commenta il cardinal Betori a globalist.it – Noi tre siamo eredi di incontri che negli ultimi decenni hanno unito rabbini, arcivescovi, più recentemente imam. Non siamo presenze estranee al mondo, siamo tre risposte al desiderio del cuore».
«Concordo con il cardinale – interviene il rabbino Gad Fernando Piperno – Nei pochi mesi in cui sono qui ho constatato come in questa città da anni si incontrino le religioni, in particolare quelle abramitiche ma non solo. In Italia in generale funziona così in molti luoghi ma Firenze è un’eccellenza da questo punto di vista». A livello mondiale però non avviene sempre questo incontro. «Come ha detto il cardinale – dice l’imam Izzedin Elzir – il territorio fiorentino offre questa possibilità. Concordo, a livello mondiale non è così ma se c’è un terreno fertile i rappresentanti delle religioni cercano di dare un contributo alla convivenza pacifica di tutti quanti».
«La bellezza entra nel cuore e fa parte delle fedi»
Incontrarsi agli Uffizi, alla riapertura dopo la chiusura da virus, non assume comunque una portata speciale? Cosa significa? «La bellezza è un veicolo della divinità, non c’è modo di sfuggire al confronto – risponde l’arcivescovo – La Genesi dice che Dio non disse solo è buono, disse è bello perché “tov” significa sia buono che bello. Quindi Dio guardando la Creazione non giudicò soltanto nella sua efficienza e bontà ma giudicò anche nella sua interezza e bellezza». «La bellezza è come mostriamo le cose – riflette il rabbino – I maestri dell’ebraismo dicono che in ambito religioso non bisogna fare una cosa solo bene, bisogna bella perché entri nel cuore delle persone. Basta entrare in una chiesa, in una moschea, in una sinagoga per vedere cose straordinarie. Sensibilità diverse? Ma è una ricchezza». «La bellezza fa parte delle fedi, senza bellezza la fede manca», chiosa l’imam.
“Pallini” e termoscanner, le misure anticovid della Galleria
Parole di saggezza. Possono aiutare molto. Intanto da oggi la galleria riemerge dal lockdown (ma avendo messo in pratica una intensissima e seguitissima strategia comunicativa sui social che proseguirà) con accortezze per evitare il rischio da contagio per lavoratori e visitatori: misura la temperatura a chiunque entri con un termoscanner all’ingresso, gel igienizzante deve essere dappertutto, sanificazioni e pulizie ogni mattina, niente uso degli ascensori, dei pallini colorati davanti alle opere devono far comprendere ai visitatori dove e in quanti possono sostare (al massimo dieci davanti ai dipinti-mito come la Venere di Botticelli, all’Adorazione di Leonardo o al Tondo Doni di Michelangelo).
Schmidt ha dimezzato la capienza massima in contemporanea da 900 a 450 persone. «Finora abbiamo perso più di un milione di visitatori e perdiamo 12 milioni di euro di introiti ma la sfida è avere visite qualitativamente più elevate». Per lo storico dell’arte tedesco serve rivedere il modello di turismo di massa, a frotte, che spreme e si regge sulla quantità. Il che combacia in fondo con quanto suggeriscono i tre rappresentanti religiosi: l’arte è esperienza che richiede riflessione, meditazione, qualunque sia il credo, sia che si creda in una forma divina o meno riguarda tutti. Frenare la corsa ai grandi numeri, se verrà frenata nel tempo, può aiutare.