«Il particolato atmosferico, il Pm10, accelera la diffusione dell’infezione di Covid-19». Lo scrive, tra altre osservazioni, Mario Agostinelli nell’estratto che qui sotto pubblichiamo dal saggio “Coronavirus ed emergenza climatica”, ebook nella nuova collana “Esc” dell’editore Castelvecchi con ogni titolo a 2,99 euro per affrontare e riflettere sui i cambiamenti repentini in corso causati, o forse solo accelerati, dalla pandemia. Nella serie editoriale si parla di scuola, sanità, economia, clima, diritti, tecnologie e altri argomenti che investono il nostro presente e le nostre vite. Agostinelli, già ricercatore dell’Enea, è ecologista, sindacalista della Cgil, è impegnato da decenni sui temi ambientali, è portavoce del Contratto mondiale per l’energia e il clima. Tra le cause della pandemia rileva come ci sia anche la predazione del “sud” del mondo. Perché i grandi marchi si appropriano di territori destinandoli all’estrazione dal sottosuolo, all’agricoltura a scala industriale, all’allevamento intensivo a danno delle popolazioni residenti. È una nuova forma di colonialismo.
Mario Agostinelli: “Salute e cibo: virus e inquinamento, parassiti e clima”
È stato scritto che la trasmissione del Covid-19 si deve ai “mercati umidi” cinesi, ma che è lo stile di vita occidentale a favorire le epidemie, tenendo conto anche degli effetti di predazione e impoverimento che provoca nelle regioni del sud del mondo. È in atto una nuova forma di colonizzazione ad opera di grandi marchi che applicano differenti modelli nel nord e nel sud del mondo, ma che hanno comunque a che fare con l’appropriazione di cibo e di risorse a spese di un territorio non più destinato alle popolazioni residenti, ma a estrazione, agricoltura industriale, allevamento intensivo. Modelli di predazione che producono degrado naturale, diffusione di malattie, povertà. Si tratta del sovrappopolamento urbano nelle metropoli, della deforestazione, della grande intensificazione degli allevamenti intensivi, della modifica dell’uso del suolo, del commercio illegale della fauna selvatica, dell’esposizione al contagio in zone molto inquinate.
Il CIRI FRAME dell’Università di Bologna e l’Università di Bari hanno prodotto una relazione (position paper) «circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione» e hanno messo in relazione i picchi di contagio della provincia di Hubei e della Pianura Padana con il superamento dei limiti stabiliti dall’OMS. Il particolato atmosferico, il Pm10, accelera la diffusione dell’infezione di Covid-19: le alte concentrazioni di polveri fini a febbraio in Pianura Padana hanno dato una spinta anomala all’epidemia, soprattutto nelle zone focolaio, dato che le polveri agiscono da vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, virus compresi. Il rapporto tra concentrazioni di particolato atmosferico e diffusione dei virus era stato già indagato nel 2010: si era visto che l’influenza aviaria poteva essere veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportavano il virus. Un virus che, come il corona, causa polmoniti nei bambini e viene veicolato attraverso il particolato in profondità nei polmoni, con una velocità di diffusione del contagio correlata alla concentrazione sia di Pm10 sia di Pm2,5.
Anche i cambiamenti climatici repentini possono avere risvolti estremamente significativi sulla nostra salute. Il 75% delle malattie infettive umane fino ad oggi conosciute deriva da animali, e il 60% delle malattie emergenti è stata trasmessa da animali selvatici. Esse causano circa un miliardo di casi di malattia e milioni di morti ogni anno. Tra tutte le malattie emergenti, le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare in futuro la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. Ogni specie può vivere in maniera stabile in un dato territorio se, al suo interno, può trovare condizioni biologiche, ecologiche e fisico-chimiche idonee. In un clima che si riscalda, per trovare condizioni adatte le specie capaci di movimento possono progressivamente spostarsi verso latitudini maggiori, oppure verso quote più elevate in presenza di rilievi montuosi. Il cambiamento climatico può avere un impatto significativo anche su quelle specie che ospitano patogeni (specie serbatoio) o che li trasportano (specie vettori), e pertanto sulla loro possibilità di infettare altre specie, incluso l’uomo.
Quando, per ragioni climatiche, gli uccelli sono diventati stanziali per tutto l’anno, possono determinare l’aumento del numero di generazioni di parassiti per ciascun anno, come constatiamo anche nelle coltivazioni agricole dell’Italia settentrionale.
Il cambiamento climatico, oltre ad alterare le temperature medie dell’atmosfera, della superficie terrestre e dei mari, modifica significativamente le precipitazioni e, quindi, la disponibilità idrica di un dato luogo in un dato momento, che a sua volta influenza le dinamiche della vegetazione, la crescita dei funghi, la diffusione di parassiti e, più in generale, la capacità portante degli ecosistemi.
Estratto da “Coronavirus ed emergenza climatica” di Mario Agostinelli, Castelvecchi editore (©) 2020 Lit Edizioni s.a.s. Per gentile concessione