a cura di Rock Reynolds
Libertà e uguaglianza non possono e non devono restare lettera morta. Ce lo insegna la storia del nostro paese, una storia che in occasione del 25 Aprile dovrebbe trovare tutti gli italiani pronti a stringersi intorno a una convinzione comune. Dovrebbe essere un abbraccio di emancipazione, di comprensione di quanto sia facile perdere di vista principi democratici che rischiano di sbiadire nello scontato.
Sahm Venter, giornalista sudafricana, ha conosciuto Nelson Mandela (1918-2013) e ha lavorato per anni presso la Nelson Mandela Foundation. Bianca privilegiata in un paese dominato dal sopruso razziale, ha colto perfettamente il profondo anelito di giustizia di quello che resterà uno dei grandi uomini del Novecento e pure dell’inizio di questo millennio.
Sahm Venter, curatrice dell’edizione internazionale delle “Lettere dal carcere” (Il Saggiatore, pagine 812, € 26,00), un’esauriente selezione della corrispondenza tenuta da “Madiba” – come Mandela era chiamato da amici e parenti – nei 27 anni di prigionia, ha ricordi indelebili del grande statista. «Uno in particolare mi ha sempre colpito. “Madiba dichiarava spesso che una laurea non bastava, che bisognava aspirare a prenderne due. E così feci. Ero laureata in Storia Economica e Sociologia. Mi laureai anche in Giornalismo. Se oggi ho due lauree lo devo a lui, che ha sempre considerato l’istruzione il primo mattone nella creazione di una società autenticamente democratica e consapevole delle proprie scelte».
Sono passati più di 6 anni dalla morte di Mandela e 75 dalla fine della Seconda Guerra, ma i valori del nostro futuro restano gli stessi di chi combatté per liberare l’Italia dal nazifascismo e di chi, come Madiba, sacrificò buona parte della propria esistenza per dare pari dignità al suo popolo.
Sahm Venter: diritti umani soffocati, non abbassiamo la guardia
Sono cresciuta in un paese senza uguaglianza, senza diritti umani e senza libertà.
Il giorno in cui nacqui, un connazionale sudafricano di 43 anni più vecchio di me era in missione segreta fuori dal paese per ottenere sostegno alla lotta contro il sistema razzista.
Nel giorno in cui lui fu arrestato, io compivo esattamente sei mesi. In seguito, quell’uomo sarebbe diventato il prigioniero politico più famoso del mondo: Nelson Mandela. Non sarebbe stato rimesso in libertà per altri 27 anni e mezzo.
Nel frattempo, io vissi la mia vita. Crebbi all’interno di uno stato oppressivo, razzista, avendo accesso all’istruzione migliore, alle opportunità migliori, allo stile di vita migliore. Perché? Perché, sotto il sistema dell’apartheid, che costringeva ogni nuovo nato a essere registrato all’anagrafe come appartenente a una determinata “razza”, io fui classificata “bianca”. E ai bianchi erano riservate tutte le cose migliori.
Venni a sapere di Mandela e dei suoi compagni, uomini e donne di ogni estrazione sociale, e di come avevano dedicato la loro vita alla lotta per far ottenere diritti umani a tutti. La lotta contro l’apartheid aveva tolto loro tutto ciò che avevano: spesso la loro vita. L’opposizione non era tollerata neppure se veniva dai bambini e gli attivisti venivano messi in carcere senza processo, picchiati, torturati, assassinati, oppure abbandonavano il paese e la propria famiglia per lottare dall’esterno.
Io scelsi il giornalismo come sistema per far vedere al mondo cosa stava accadendo nel nostro paese, in che modo il sistema trattava le persone e in che modo le persone si ribellavano. Quando lo Stato negava ciò che stava facendo, noi eravamo in grado di dimostrarlo.
Vidi Nelson Mandela imboccare la lunga strada verso la libertà, negoziare la fine dell’apartheid e diventare il nostro primo presidente eletto democraticamente. A distanza di circa 16 anni, iniziai a lavorare presso la sua fondazione. Più conoscevo quell’uomo, più restavo colpita dal suo impegno per i diritti umani universali e dalla sua coerenza. Ciò che rivendicò all’uscita dal carcere era quello che aveva rivendicato prima di finirci.
Eguaglianza per tutti. Diritti umani per tutti. Libertà per tutti.
Tragicamente, i diritti umani restano sotto minaccia in tutto il mondo, man mano che un leader dopo l’altro si dà da fare per sopprimere il dissenso. Oggi più che mai serve l’esempio di leader come lui.
Persino mentre si preparava ad abbandonare il palcoscenico della vita, Mandela seguitò a raccomandarci di tenere alta la pressione ogni volta che avessimo osservato un’ingiustizia, dicendo che ora toccava a noi preservare la libertà per i posteri. Aveva fatto ciò che poteva e anche noi avremmo dovuto farlo.
“I bambini, i giovani e le generazioni future del nostro pianeta si troveranno ancora a dover lottare per un’autentica e universale emancipazione umana” diceva.
Capire il messaggio di Mandela significa non abbassare la guardia. Ogni individuo di ogni generazione si trova ad affrontare la stessa sfida: dobbiamo tutti fare la nostra parte per creare un mondo migliore, rafforzando la democrazia e i diritti umani, se non vogliamo voltare la schiena al nostro stesso futuro.