«Parlare di libri alla radio ci aiuta a capire e ci fa sentire meno soli». Con teatri chiusi e concerti rinviati, treni semivuoti, scuole chiuse, vita sociale mutilata, le parole lette e/o ascoltate dai libri possono aiutarci molto. Va in onda da anni un programma radiofonico davvero eccellente e vario, “Fahrenheit”, dove ogni pomeriggio dal lunedì al venerdì a partire dalle 15 su Rai Radio3, i libri, l’editoria, le librerie tengono banco. I conduttori parlano di romanzi, saggi o raccolte poetiche appena usciti, di attualità, con un’impagabile “caccia” al titolo introvabile che qualcuno cerca disperatamente e qualche ascoltatore/ascoltatrice dona.
In questa piazza radiofonica dietro al microfono parla, spesso, Loredana Lipperini, giornalista, scrittrice, conduttrice, blogger, romana del 1956. La frase iniziale è sua. Prima di rispondere alle domande sul senso dei libri e della trasmissione al tempo del Coronavirus la conduttrice ricorda l’appuntamento dell’emittente per domenica 8 marzo Giornata della donna ed è già una risposta parziale: alle 20.30 in diretta anche streaming video e sulla sua pagina Facebook Radio3 trasmette un adattamento dell’ultimo romanzo di Margaret Atwood I Testamenti (Ponte alle Grazie) firmato dalla Lipperini, Viola Graziosi e Riccardo Amorese, in una serata curata da Laura Palmieri. Titolo: “Come se fosse una piazza”.
Che ruolo ricopre in questi giorni la radio e nello specifico un programma come Fahrenheit di Radio3 che parla costantemente di libri?
Le piazze saranno vuote, questo 8 marzo, per cui l’idea di domenica è rappresentare una piazza virtuale, un luogo simbolico dove riunirsi a raccontare una storia. Le storie infatti servono non solo a ingannare il tempo ma a capirlo: questo restituisce forse l’idea di cosa possa fare la radio in un mondo che ci sembra silenzioso. La radio non è solo consolatoria, semmai è un momento in cui le parole dei libri e sui libri sono ancora più importanti, ci aiutano a capire meglio quello che accade.
Cosa può darci e dirci un libro mentre si propaga la paura del contagio?
Mi ha molto colpito il fatto che tanti vadano a comprare “La peste” di Camus. Giustamente. Parlando di libri possiamo dare un senso alle parole anche per sentirsi meno soli, anche per chi fa la radio. Siamo attraversati dalle paure, la paura di ammalarsi, per la nostra economia, la paura di sentirci soli. E ora siamo più soli: non possiamo toccarci, abbracciarci, baciarci. Forse la radio, un mezzo in cui credo molto, può essere una compagna di strada, può raccogliere racconti, può essere un momento in cui tutti quanti siamo individualmente presenti.
In Italia si legge poco e gli uomini leggono meno delle donne. Con il Coronavirus però si parla molto di libri, no?
Sì e mi pare forse sia, e dico forse, un segnale importante. Dovremo tutti ricalcolare i nostri progetti e non sarà indolore. Dico una frase retorica, i libri sono di conforto, ed è vero, lo sono. Potrebbe accadere che oltre a confortarci ci avvicinino di più: me lo auguro per i lettori e per chi lavora nel mondo cultura, dai librai agli editori a chi organizza festival che svaniscono tra le dita come la festa “Libri come” di Roma (anche il “Book Pride” di Milano fissato ad aprile viene rimandato, ndr).
Cosa si aspetta a breve?
È molto difficile fare qualunque previsione. Sono convinta che valga un vecchio discorso del premio norvegese Jens Stoltenberg dopo la strage di Utøya nel 2011: davanti a una folla meravigliosa e pacifica disse che dovremo prenderci cura l’uno dell’altro, essere umani e fraterni. Penso siano parole che dobbiamo ripeterci.
Ha un libro che ritiene adatto a questi tempi di contagio?
Sì, è un romanzo a cui torno forse per la ventesima rilettura, La montagna incantata di Thomas Mann: lì c’è tutto un mondo che finisce e diventa altro, c’è la segregazione e c’è anche la possibilità di capire, attraverso una storia, come le cose stavano per cambiare. Mann in quel romanzo non racconta solo il ‘900.