di Marco Buttafuoco
“Vedo una regione che si è lanciata su un trampolino che l’ha già portata molto in alto e sono sicuro che proseguendo su quella strada andrà ancora più su. Guardando in avanti ma anche indietro, alle cose, ai valori, ma soprattutto alle persone che a volte sembra aver perso per strada. Da migliorare, da potenziare, da finire, non da sconvolgere, sgretolare o distruggere”. Così scriveva Carlo Lucarelli, nato a Parma ma bolognese a tutti gli effetti, qualche giorno fa, su Facebook, in una dichiarazione a sostegno della candidatura di Stefano Bonaccini.
Quali sono i valori di cui parlava in quella pagina. Cosa contraddistingue storicamente l’Emilia Romagna?
Noi, come del resto un po’ tutta l’Italia centrale, siamo una regione di frontiera. Coniughiamo il gusto della vita tipico del Sud, con la capacità produttiva del nord. La fantasia con l’efficienza. Oggi, ad esempio, la regione sta conoscendo uno sviluppo turistico impensabile anche nelle città, mettendo a frutto i tanti tesori d’arte che ospitano. Stiamo reagendo creativamente alle nuove situazioni economiche. Sappiamo guardare al futuro, ma dobbiamo, tuttavia mantenere anche quelle che sono sempre state le nostre caratteristiche, prima fra tutte quelle del lavorare insieme, lo spirito cooperativo, la capacità collettiva di affrontare la realtà. È l’unica risposta possibile all’individualismo spaventato dal nuovo che caratterizza il nostro tempo. Bisogna guardare al futuro, una regione come la nostra non può chiudersi in se stessa, se ci chiudiamo rimaniamo schiacciati, ma non può nemmeno mutare la sua natura vera. Anni fa, ad esempio, qualcuno sognava di trasformare Parma, la piccola, nobile, colta città ducale, in un agglomerato urbano di seicentomila abitanti, con tanto di metropolitana e quartieri satellite. Non è questo il futuro che dobbiamo cercare. Per il resto tutto si può migliorare. Abbiamo una buona sanità, buoni trasporti, un’ottima qualità di vita ma si può sempre fare di più.
Nella sua presa di posizione a favore del Governatore in carica lei si dice poco interessato ad approfondire gli effetti politici del voto regionale sul panorama emiliano-romagnolo. Tuttavia, quale che sia il risultato delle urne, rimane sempre il problema di un paese diventato rabbioso, incattivito, chiuso in sé stesso.
Noi tutti abbiamo creduto, e tuttora crediamo, al mito degli italiani brava gente. Noi siamo, anche, il paese delle guerre d’Africa, delle leggi razziali del 1938, che passarono senza grandi opposizioni e senza particolari ostacoli. Non dimentichiamo che la Lega per anni si è proposta come un partito fortemente antimeridionalista e che il sentimento di ostilità nei confronti degli italiani del sud è tuttora vivo. Non siamo cambiati, c’eravamo dimenticati di quello che siamo sempre stati. Molti, soprattutto nel campo progressista, avevano sperato che queste radici profonde si fossero essiccate e non alimentassero più l’anima del paese. Sono bastate le tensioni dovute all’immigrazione per far riemergere queste pulsioni antiche. C’eravamo dimenticati tutti dell’Africa, non abbiamo più guardato a quel continente come a una realtà con cui confrontarci. Chiusi in noi stessi, non ci siamo resi di conto di quello che avveniva a due passi da casa nostra.
Quanto hanno contribuito i social media al diffondersi di questa rabbia?
Hanno massificato e amplificato comportamenti che esistono da sempre. Vede, ricordo che quando ero ragazzo lessi una notizia di un grave incidente provocato da un Tir. Per mesi, dopo quell’evento, tutti i giorni veniva pubblicata la notizia di qualche disastro stradale provocato da un gigante della strada. Poi nessuno ne parlò più. Naturalmente i Tir avevano provocato guai prima e continuano a provocarne tuttora. I social hanno reso permanente questa fibrillazione. Oggi chiunque può sfogare rabbie private e pubbliche, covate da sempre, in un semplice post che si propaga rapidamente per la rete. Facebook e gli altri social Sono semplicemente un amplificatore di sentimenti che allignano da sempre. Non ci sono ricette o soluzioni. Come scrittore detesto ogni forma di censura. Non possiamo che convivere con questa realtà.
Insisto sul dopo voto e le chiedo se lei vede un rischio di deriva sovranista, se non addirittura di fascismo nel futuro italiano?
Io comincerei col dire che occorre esser più precisi nell’utilizzo dei termini. Un sovranista non è necessariamente un razzista, magari si può utilizzare, in alcuni casi, la categoria di democrazia illiberale. Certo elementi di fascismo sono presenti nella società italiana, ci sono persone e gruppi organizzati che incarnano l’eredità mussoliniana. C’è un pericolo di arretramento democratico, ma per combatterlo occorre anche recuperare la capacità di guardare alla realtà senza semplificazioni. La scarnificazione del pensiero, la riduzione del discorso a slogan, a tweet, è pericolosa. Non a caso è l’arma più potente in mano a Salvini. La realtà rimane complessa e difficile da decifrare. Occorrerebbe tornare al dialogo paziente, alla razionalità, a una politica del porta a porta, anche se richiede uno sforzo immane. Il centro sinistra, l’opinione progressista, ha tutto da perdere in una guerra di Tweet e di parole d’ordine. Le recenti difficoltà elettorali lo dimostrano. Certo, è facile individuare il problema, ma è uno sforzo titanico indicare le soluzioni.
Torniamo all’Emilia Romagna. Cosa le piace di Bonaccini e perché lo preferisce alla sua rivale Lucia Borgonzoni?
Il primo è figlio di quella tradizione emiliano romagnola che è intrisa di competenza e passione. Sa affrontare un problema, individuarne la complessità e trovare, grazie anche all’esperienza, le soluzioni amministrative. A questo unisce una visione del futuro della sua terra che non ne ignora la grande tradizione di cultura e solidarietà. La Borgonzoni, oltre a non avere esperienze di governo, ha un approccio molto estraneo alla regione. Propone modelli di altre realtà amministrate dalla Lega, punta a una sostanziale privatizzazione della sanità. Insieme a Salvini evoca un concetto di sicurezza tutto basato sulle paure e non sui dati reali. Il quartiere bolognese del Pilastro, dove Salvini ha messo in scena la sua pantomima, non è una terra di nessuno. Si è fatto molto, in questi ultimi anni, per aumentarne la sicurezza. Infine c’è una questione di valori. I miei non sono quelli della Lega, valori di chiusura, di paure, di ritorno al passato. Il centro sinistra ha spesso abdicato rispetto alla questione dei valori e ne paga le conseguenze. Tuttavia qualche bel segnale di risveglio c’è, basti pensare al movimento della Sardine.
Non vuole proprio esprimersi sullo scenario del post elezioni?
Certo, sarebbe buona cosa fermare l’ondata di destra, ma al momento è necessario evitare un’affermazione leghista in Emilia. Il pragmatismo consiglia di concentrarsi su un obiettivo alla volta. Avere la Borgonzoni in Regione potrebbe costituire un serio passo indietro per noi e per la politica nazionale, anche se non dovesse cadere il governo. Non è il momento di fare ipotesi, occorre vincere questa battaglia.
Posso chiederle, a proposito di scenari intricati, quali sono i suoi progetti attuali di scrittore, a cosa sta lavorando?
Ho appena finito e consegnato in romanzo, ambientato a bologna nel 1944. Il protagonista sarà il Commissario De Luca, protagonista di tante altre storie, a partire da Carta bianca. Tornerà in tv anche l’ispettore Coliandro, sul quale sto lavorando. Pronta al varo c’è anche la ripresa di una serie una serie televisiva con Sky, “Gli inseparabili – vite all’ombra del genio”, dedicate ai misteri e alla vite eccezionali della storia dell’arte, che sarà ambientata a Salsomaggiore.