«Il genocidio degli ebrei è stato giustamente riconosciuto. Fascisti e nazisti massacrarono anche mezzo milione di rom e il nostro genocidio non ha avuto ancora riconoscimento in Europa». Si ascoltano queste parole purtroppo veritiere in un documentario in un certo qual modo unico e accompagnato da una mostra parallela. Il film-doc si intitola Romanistan: road-movie d’arte, tra lunghe sequenze di paesaggi, musiche “romanì” e interviste, il lungometraggio segue a ritroso l’emigrazione verso l’Europa compiuta dal popolo rom tra l’VIII e il XIV secolo. A ritroso, dunque dall’Italia di Bologna ai Balcani, dalla Turchia al Caucaso, dal Medio oriente fino alla terra di partenza, Chandigar nell’India nord occidentale.
L’autore, Luca Vitone (Genova, 1964), ha presentato il lungometraggio in prima mondiale al festival in corso fino a domenica 17 Lo schermo dell’arte di Firenze. Parallelamente al film Vitone, che è prima di tutto artista, fino al 15 marzo al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato espone installazioni, foto e immagini raccolte durante quel viaggio e sue opere precedenti sulla cultura romanì: la mostra si chiama Romanistan, come il film e come si chiamerebbe il paese che i rom non hanno, e l’hanno curata la direttrice del centro Cristiana Perrella ed Elena Magini.
Cos’ha di speciale, Romanistan? Vitone si mette di lato ed evita gli stereotipi: non è lui a parlare dei rom o a mettersi in prima fila; al contrario sono musicisti, intellettuali e politici rom protagonisti diretti e intervengono come figure culturali, come riferimenti. Non a caso questo rimarca a proiezione finita Gennaro Spinelli, musicista che ha viaggiato insieme a Vitone fino alla tappa di Istanbul per essere sostituito dal figlio: «La nostra cultura è complessa e per la prima volta in questo documentario noi rom siamo soggetti, non oggetti di studio, c’è la nostra visuale. Sarà una pietra miliare, Romanistan: i rom parlano nei loro dialetti, della loro lingua, è una novità assoluta e unica».
«Abbiamo una cultura ricca e profonda, l’Europa non lo sa, non ci conosce, non sa nulla, pensa che suoniamo e cantiamo soltanto eppure siamo nel continente da sette secoli», ricorda un intervistato da Vitone e troupe. «La nostra lingua viene dal sanscrito, si è tramandata solo oralmente, soltanto negli ultimi anni c’è una forma scritta, un alfabeto», rammenta un altro. Parlano politici, intellettuali …
«Non volevo cadere nello stereotipo del rom come persona marginale e di periferia. Il popolo rom ha i suoi intellettuali, i suoi politici, le sue persone di cultura, ha avuto il Nobel e la presidenza di una repubblica», racconta l’artista a globalist.it. Un popolo su cui si riversano razzismi: basti rammentare la guerra di strada di una destra estrema contro una famiglia a Roma costretta a lasciare la casa regolarmente assegnata per la “colpa” di essere rom. Le camicie nere e brune di 80 anni fa avrebbero agito più violentemente, il concetto non è così dissimile. «I rom diventano il capro espiatorio per situazioni non causate da loro. Voglio ricordare che nei campi vivono circa 20mila persone su 170mila rom in Italia – dice ancora Vitone – Gli altri abitanonelle case ma spesso devono nasconderlo, come devono spesso nascondere la loro origine al lavoro altrimenti vengono licenziati automaticamente perché visti come malviventi. Eppure sono italiani da sei secoli. Ma sono considerati gli ultimi europei»
Romanistan è un progetto promosso dal Pecci e ha vinto la quarta edizione del bando Italian Council (2018): si tratta del concorso ideato dalla Direzione Generale Creatività contemporanea e Rigenerazione urbana del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo.
Il sito dello Schermo dell’arte