Nel centro di Fiastra a un lembo del magnifico e naturalisticamente ben conservato Parco di Monti Sibillini, nell’area nelle Marche, attorno alle case color arancio, verde pallido, giallo paglierino sulla via di sanpietrini regna il silenzio e non è un silenzio di quiete paradisiaca; l’edificio del municipio e dell’«esposizione archeologica permanente» dal primo piano in su ha le finestre puntellate e le pareti tenute da travi e tiranti; sulle travi di puntellamento di una palazzina interamente ingabbiata presso il segnale con divieto di sosta e di entrata alle auto non autorizzate un cartello invoca «vogliamo la ricostruzione». Accadeva così a maggio, tre mesi dopo lo scenario complessivo è analogo e immobile nei territori colpiti dal sisma del 2016: il 24 agosto il terremoto, con la complicità della mancanza di criteri antisismici, ha polverizzato Amatrice causando 249 morti e Accumoli nel Lazio, sbriciolando Arquata del Tronto nel territorio marchigiano e provocato danni pur sostenibili fino all’Umbria e all’Abruzzo. Furono le scosse del 26 e 30 ottobre 2016, con la coda di quelle del gennaio 2017, a inferire colpi mortali alla Valnerina in Umbria e alle Marche centro meridionali.
Tre anni dopo il coro degli abitanti è unanime: la ricostruzione non è partita. Sui 581mila abitanti nell’area del Cratere al 31 luglio 2016 estesa su 7929 chilometri quadrati ben 49.322 non sono rientrati a casa propria (fonte il Fatto Quotidiano citando il Dipartimento per la Protezione Civile). La mancata ricostruzione costò al Pd un’emorragia di voti, alle elezioni del 2018. Dopo un anno di governo gialloverde, e un cambio di commissario straordinario per il terremoto con l’incarico assegnato al geologo originario di Treia Piero Farabollini al posto di Paola De Micheli, poco sembra mutato. Come tanti vanno ripetendo: in zone già soggette a spopolamento galoppante rischiamo di lasciare il vuoto, il deserto umano e culturale. Lo dicono gli abitanti di quattro affascinanti paesi nel maceratese, colpiti ma non devastati: Sarnano, Fiastra appunto, San Ginesio e Caldarola.
Da Sarnano: «Abbiamo il terremoto dentro»
«Sopravviviamo, siamo vivi ma abbiamo il terremoto dentro», esclama Maria Assunta di Sarnano, bellissimo borgo dagli edifici in centro in mattoncini rossi in un’architettura coerente: è rimasta in piedi, eppure il più nel nucleo storico è chiuso. La signora ha un negozio. «Prima venivano turisti, ora questa realtà non esiste più. Manca ossigeno. La priorità qui? Aggiustare le case. Su circa tremila abitanti ne mancano più o meno 500, i giovani si sono allontanati perché lavorano fuori». La signora Gabriella, al suo fianco, concorda: «Prima le terme a un paio di chilometri da qui portavano turismo. Adesso chi va al centro termale lì resta».
«È tutto fermo – conferma passando dal bar un altro sarnanese, Gabriele – Anch’io ho casa da rimettere a posto». «Siamo sepolti vivi, il turismo è solo di passaggio e non si ferma come prima, il centro storico è in piedi ma tutto lesionato dentro», corona il discorso il barista Vincenzo Mariani. «Nella mia casa a Cessapalombo, restaurata nel 2007, si è abbassata la terra. Vivo nel garage del suocero», ricorda Gessica. Con il governo gialloverde è cambiato passo, come pentastellati e leghisti avevano promesso in campagna elettorale nel 2018? «Renzi, Gentiloni, Conte hanno detto che non ci lasciavano soli. È stata la stessa storia con tutti», risponde Biagio, sempre al bar dove ci si trova per scambiare due chiacchiere.
Da Fiastra: «Normale serva tempo, ma il paese si spopola»
Da una panchina in uno slargo di Fiastra Vanis, 72enne, è più ottimista: «Se fra tre, quattro cinque anni sarà così allora sarà diverso, mi pare normale ci voglia tempo per ricostruire. È facile criticare. Per esperienza sono scettico sui comitati, penso siano strumentalizzazioni politiche. Ma un intoppo è che i geometri non presentano i progetti di restauro perché sono oberati dal lavoro. Anche io ho casa da demolire, terremotata», avvisa nel caso qualcuno lo ritenga fuori dai guai. «Che te devo di’? Stiamo bene finché non ci si ammala. Io abito in una Sae (le casette “Soluzioni abitative in emergenza”, ndr)», interviene accanto a lui Guido, un 88enne vivace. «Anche se tornerà il turismo sarà un’altra cosa – riprende Vanis toccando un elemento decisivo – Su sette residenti nella frazione di San Marco io sono il più giovane. Le case ricostruite saranno antisismiche ma qua non ci stanno posti di lavoro, il paese si spopola».
Da San Ginesio: «La priorità sono le scuole»
Con vista su file di colline fino ai “Monti Azzurri” San Ginesio vanta, a ragione, il titolo di uno dei «borghi più belli d’Italia» tra i cartelli municipali alla porta delle mura castellane del XIV-XV secolo presso l’ospedale di San Paolo fondato nel 1295. Insegnante di sostegno, Elena guarda il figlio di tre anni giocare fuori nel parco fuori dalle mura, insieme a un piccolo amico: «Tutto è stato messo in sicurezza, ma la ricostruzione va a rilento, dopo tre anni ancora». La Collegiata, ovvero la chiesa di Santa Maria Assunta fondata nell’XI secolo, ndr) con una facciata svettante e un portale in travertino nella fascia bassa in stile romanico e quella alta in gotico fiorito, «era l’attrazione – ripensa Elena – ma è inagibile; il restauro del Teatro è iniziato: bene, ma cosa avranno i nostri figli crescendo qui? Serviranno servizi. Per me la priorità sono le scuole: abbiamo la scuola dell’infanzia all’ostello, le primarie e le medie, ma l’istituto professionale, il linguistico e le scienze umane non sono più qui». E così i ragazzi studiano altrove. Per le strade, di raro incanto, dove l’architettura ha mantenuto una sua armonia, non passa quasi nessuno. Apparentemente integra, la gran parte delle case è come altrove lesionata internamente e inagibile.
Da Caldarola: «Riaprire il castello per riportare turisti»
A pochi chilometri da San Ginesio Caldarola, come prima attrazione, ha il Castello Pallotta., nel borgo alto, con torre e mura merlate. È privato. È tutto puntellato. «La ricostruzione nel cratere del terremoto non è partita – commenta Roberto – Qui sono tornato e ho preso una pizzeria, non è il mio settore ma mi adatto. Le priorità? Riportare turismo per ridare vita a questi paesi. Caldarola ha perso 500 abitanti. E qui la priorità deve essere riaprire il bellissimo castello. Spero che tutto passi, dicono che in dieci anni torniamo nelle nostre case ma ne dubito». Una breve pausa mentre lavora. «Ci vorrà tempo – conclude Roberto – ma a dire la verità penso sia preferibile aspettare magari un anno in più per una casa fatta bene, davvero antisismica, non avere tamponature».
Le case lungo via Cassero, lungo via Colcù, la chiesa sotto il castello, architetture nei tipici mattoncini rossi a vista, sono sorrette dai puntellamenti delle travi in legno e dai tiranti: proteggono da crolli, non proteggono dal senso di abbandono.
A “Tutta la città ne parla”: la burocrazia dipende dalla politica
All’eccellente programma delle 10 su Radio3 “Tutta la città ne parla” ieri 23 agosto le voci raccolte hanno convenuto nel mettere sul banco degli imputati “la burocrazia” (cliccando qui potete ascoltare la puntata): con i suoi vincoli in uno scenario così tragico impedisce di ricostruire in tempi adeguati. Eppure come hanno ricordato gli ospiti la burocrazia è frutto degli uomini e senza volontà politica, del governo, se non si cambiano le norme la burocrazia continua a mettere il freno. Questa volontà i più non l’hanno vista nemmeno nell’ultimo anno.
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