«Salvini non lavora nei campi o in fabbrica, produce idee. L’idea lo farà infuriare ma anche lui è un intellettuale». Lo scrittore, autore di reportage, insegnante nel carcere di Rebibbia a Roma e sceneggiatore Edoardo Albinati iscrive il ministro dell’Interno nella «congrega degli intellettuali». Lo iscrive d’ufficio in questa intervista a proposito delle “Letture sull’odio”, reading che tiene insieme a Sandro Veronesi domenica 7 alle 12 nella stupenda Sala dei Notari a Palazzo dei Priori a Perugia in uno dei tantissimi appuntamenti del Festival internazionale del giornalismo in corso nella città umbra da oggi 3 aprile fino a domenica: una manifestazione sull’oggi da tanti angoli del mondo, un esercizio di cultura e formazione civile seguitissimo in grado di spalancare finestre anche sorprendenti su moltissimi temi.
Tra i circa 600 “speaker” il festival ha appunto invitato l’autore di romanzi come il romanzo La scuola cattolica (premio Strega 2016) e di saggi quali Tutt’al più muoio (con Filippo Timi, Fandango 2006) o Cronistoria di un pensiero infame (Baldini & Castoldi, 2018). Romano di nascita, nato nel 1956, Albinati risponde al telefono tra un volo e l’altro.
Albinati, lei e Veronesi cosa leggete a Perugia?
Leggiamo brani rispettivamente dagli ultimi libretti, i pamphlet che sia Veronesi che io abbiamo scritto e pubblicato a fine 2018: Cani d’estate lui, Cronistoria di un pensiero infame io. Entrambi sono sul tema dell’immigrazione.
Il titolo dell’incontro di Perugia è l’odio: è una caratteristica particolarmente forte dei nostri giorni?
Più che altro viene permesso che si esprima liberamente. A questo sentimento è stato dato pieno diritto di manifestarsi e quando l’odio si manifesta ad alti livelli chiunque dopo si sente autorizzato a manifestarlo apertamente. La parola “razzista” non è più considerata un insulto, essere razzisti è diventato lecito. Penso a un famoso video in cui una signora napoletana se la prendeva con un energumeno perché aveva maltrattato in extracomunitario nella metropolitana. Lei gli dice “sei un razzista, sei un razzista”, poi si accorge che non gli fa caldo né freddo e allora gli dice “sei uno stronzo”.
Gli intellettuali sono figure poco gradite, in questo modo di vedere. Cosa possono fare?
Gli intellettuali sono il principale bersaglio di questa campagna. Si pensa siano signorini snob che dicono la loro da appartamenti privilegiati. È un’immagine che viene decifrata nel termine radical chic, che non ha nessun senso specie in Italia. Gli intellettuali sono un bersaglio preferito del populismo: in parte se lo meritano però se “intellettuale” vuol dire articolare un discorso più che limitarsi a uno slogan allora possono fare la loro parte.
Quale?
Consiste non nel prendere una parte bensì nel provare ad articolare il discorso, a ragionare, per esempio sull’immigrazione, non limitarsi a slogan, a selfie o proclami.
È lo stile attuale preponderante.
C’è una cittadinanza degli intellettuali che è di qualsiasi altro cittadino italiano. La separatezza degli intellettuali è uno dei luoghi comuni però nel mio libretto parlo anche di politici e giornalisti: sono intellettuali, producono idee, magari rozze e grossolane ma sono idee pure quelle. Per cui il nostro ministro degli Interni, che non lavora nei campi o in fabbrica, fa parte della nostra congrega: ciò lo farà infuriare ma non è un lavoratore manuale, produce idee, usa parole, quindi è un intellettuale anche lui.
C’è reazione a questo sentire e pensare?
È un altro luogo comune: tante persone danno consenso alle idee di rifiuto e respingimento dell’altro, sono idee molto popolari, è vero. Però è altrettanto vero che un sacco di gente non condivide quelle idee, non sopporta quel mantra secondo cui adesso vincono loro e tutti la pensano come loro. Quando il ministro dice di aver dietro di sé sessanta milioni di italiani dice un falso ideologico, non è affatto vero: quella parte è più strepitosa nel senso che è più vistosa anche perché ha visto quel ministro andare a trovare un indagato che ha sparato a un altro uomo; questo atteggiamento fomenta una parte politica ma non è così maggioritaria: anche con il 30% dei consensi su 70% della popolazione che vota se tutto va bene un italiano su quattro è lì, gli altri non sono roba sua. Il consenso è materia molto mobile e volatile: lo hanno avuto personaggi che si sono eclissati rapidamente
Infine: alternare saggistica e narrativa per uno scrittore è una pratica necessaria?
Quando faccio narrativa sono saggistico e quando scrivo saggi narro eventi di un momento storico: è sempre raccontare qualcosa, è sempre un racconto.
I “Cani d’estate” di Sandro Veronesi contro l’abbaiare dei razzisti