Giorgia Meloni torna all’attacco e bolla il 25 aprile come data “divisiva”, pertanto non vorrebbe festeggiare la caduta del fascismo e sferra picconate alla festa della Liberazione. Non stupisce, dalla leader di Fratelli d’Italia. Tuttavia la data può essere solo “divisiva” perché “la Repubblica italiana, democratica, è nata da una guerra civile, dalla sconfitta del regime fascista”. Lo afferma con nettezza Alessandra Tarquini, storica, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, studiosa del Novecento che si è occupata, tra l’altro, di antisemitismo, sionismo, del partito e della stampa socialista. E giorni fa era tra i relatori a un confronto a più voci su storia e media al Festival sul giornalismo culturale dove il tema del fascismo storico a confronto con i nostri giorni è emerso con forza e ha appassionato molti presenti al Teatro della Fortuna a Fano, nelle Marche.
Professoressa, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha definito il 25 aprile e il 2 giugno “feste divisive” e se dovesse scegliere opterebbe per il 4 novembre a discapito delle date sulla Repubblica e sulla Liberazione dal nazismo e fascismo. Come valuta questa posizione, da storica, soprattutto il 25 aprile?
Nonostante sia importante ricordare la fine della Prima guerra mondiale, e capire perché l’abbiamo sostenuta, il paragone è improprio. Il 25 aprile continua ad avere la sua importanza: con tutti i limiti delle celebrazioni antifasciste che non sempre sono state all’altezza del loro compito, con una retorica antifascista che non è servita allo scopo, sicuramente una riflessione sull’antifascismo è doverosa. Detto questo la festa è divisiva, e tale deve essere, perché siamo figli di una guerra civile. La Repubblica italiana è nata da una guerra civile. La nostra repubblica democratica è nata dalla sconfitta del regime fascista e dalla fine del Seconda guerra mondiale per cui penso che il 25 aprile abbia un valore. Gli appelli alla pacificazione non servono a niente, non c’è niente di più divisivo della memoria collettiva che non può essere diversa per le esperienze diverse. Questo non significa non rispettare i morti o le ragioni degli altri. Ma che io rispetti le ragioni di un altro per le sue scelte diverse dalle mie non è un appello alla pacificazione: l’altro va riconosciuto anche quando la pensa diversamente ed è stato ed è nemico, ha diritto a lottare ma, ripeto, noi siamo figli di una guerra civile. Claudio Pavone agli inizi degli anni ’90 lo disse da sinistra: anche loro hanno diritto a essere riconosciuti come italiani e allora si iniziò a parlare di guerra civile. Ciò non vuol dire che passiamo tutti quanti a un “volemose bene”, come si dice a Roma. L’altro è italiano come me, certo, ma non dobbiamo appellarci a una pacificazione. Il 25 aprile va mantenuto come festa perché la sconfitta del regime fascista è il fatto positivo della nostra storia.
A Fano al Festival sul giornalismo culturale il tema del fascismo a confronto con l’oggi è emerso in modo esplicito. A suo parere si può tracciare un parallelismo tra fascismo storico, durato fino al 1945, e i nostri giorni?
A mio parere questo parallelismo non si può fare ed è scorretto confrontare esperienze del passato che hanno un inizio ed una fine con esperienze completamente diverse per contesto, per protagonisti, per forme della politica. Il fascismo è stato un regime totalitario a partito unico che ha quindi eliminato il pluralismo dei partiti politici, la vita parlamentare, il pluralismo della stampa, delle opinioni. È stato un regime violento e dittatoriale che non ha nulla a che fare con ciò che accade nelle moderne democrazie. Anche quando ciò che accade è un fenomeno se vogliamo di destra razzista, xenofoba con forme di antisemitismo.
Quanto al razzismo?
Il razzismo precede di gran lunga il fascismo. Nasce anzi nei paesi più democratici, pensiamo ai comportamenti di francesi e inglesi, dei grandi colonialisti nei confronti di popolazioni diverse.
Nel 1492 la Spagna buttò fuori gli ebrei perché ebrei.
Appunto, non c’entra nulla il fascismo. Si può essere razzisti e antisemiti e non essere affatto fascisti e molto democratici. Ripeto: razzismo e antisemitismo precedono di gran lunga il fascismo. Dopo di che è vero che il fascismo ha avuto una concezione fascista e ha una concezoine fascista, i fascisti hanno come obiettivo quello di creare una nuova razza di dominatori e che diventano antisemiti non perché glielo chiede l’alleato tedesco ma perché hanno una visione del mondo che in quel momento esclude gli ebrei dall’essere italiani. Dunque perseguitano gli ebrei italiani ai quali negano di fatto la cittadinanza: 47mila nostri concittadini si vedono trasformata la vita dall’oggi al domani e vengono esclusi.
Eppure ci sono forze in Italia e in Germania che si richiamano al fascismo e al nazismo nei simboli, nell’iconografia.
Innanzi tutto dovremmo chiamare queste forze neofasciste e non fasciste o naziste. Se poi vogliamo vedere quanto di realmente fascista hanno troveremmo ben poco. Per esempio alcune forze partecipano alla vita parlamentare. Un fascista poteva mai partecipare alla vita parlamentare? Non ci difendiamo dal neofascismo, dal razzismo, dall’antisemitismo invocando a sproposito Mussolini o Hitler.
Allora come ci difendiamo?
Cercando di analizzare i fenomeni che abbiamo di fronte. Per esempio il populismo e il fascismo sono due cose molto diverse. Sarebbe bene che giornali, intellettuali, l’opinione pubblica avessero chiaro l’uso di questi termini. Il populismo rispetto al fascismo ha uno scarto consistente. Una delle caratteristiche del fascismo è stabilire il primato della politica. I fascisti cercano e riescono a far saltare la separazione tra società civile e Stato. Se noi non teniamo conto di queste differenze che derivano da anni di ricerche storiografiche, se facciamo un grande minestrone dove mettiamo da Andreotti a Scelba a Salvini, non capiamo nulla e se questo è il modo per combattere Salvini abbiamo perso.
Nel 1933 Hitler fu nominato Cancelliere e legittimato a prendere il potere dal presidente tedesco. Esiste il pericolo che la democrazia vada a pezzi perché si dà spazio a ciò che la distruggerà?
Non c’è alcun dubbio che sia così. Non solo c’è una responsabilità delle democrazie liberali che subito dopo la Prima guerra mondiale in qualche modo di suicidano, ma è assolutamente vero che ci sia una debolezza della democrazia: quindi esiste la necessità da parte di tutti noi di salvaguardarla e di considerare la democrazia parlamentare non un dato di fatto ma qualcosa per la quale è morta della gente durante la Seconda guerra mondiale. Siamo oggi il frutto di una storia, non dobbiamo dare per scontato che quella liberal-democrazia che abbiamo di fronte sia una volta per tutte. Mi viene in mente che fino agli anni ’90 l’opinione pubblica italiana, e non solo quella, aveva un’idea positiva dell’Europa. Oggi questo pensiero non c’è più. Pensavamo l’Europa fosse un’occasione di modernizzazione, oggi viene spesso associata alle élite. Evidentemente qualcosa sta cambiando e dovremmo essere cauti nell’espressione anche critica rispetto all’integrazione europea.
L’intervista / Pagliarulo dell’Anpi: Non possiamo dimenticare i massacri e i crimini del fascismo
Il festival del giornalismo culturale, 2018