Quante volte sentiamo esclamare, sui migranti, “aiutiamoli a casa loro”? Che è un modo per dire di non volerli intorno, perché poi non si sa né si vuole certo risollevare le sorti di Paesi poveri o lacerati da guerre. Vincenzo Sorrentino, docente di filosofia politica presso l’Università di Perugia, autore dei libri “Il pensiero politico di Foucault” (2008), “Il potere invisibile. Il segreto e la menzogna nella politica contemporanea” (2011) e “Cupio dissolvi. Senso della vita e abbandono” (2015), condirettore della rivista “Cosmopolis” rovescia quell’espressione e ha dato alle stampe il pamphlet “Aiutarli a casa nostra. Per un’Europa della compassione” (Castelvecchi Editore, pp. 96, euro 13.50). Dove adotta la forma del dialogo diretto, rivolgendosi a un “tu” neanche troppo immaginario, per andare al nocciolo di interrogativi che vanno alle radici del nostro stesso stare al mondo, della democrazia stessa, della libertà di tutti e, anche, del “male”.
Cominciamo dal titolo: perché ribalta una frase usata e abusata, quella di aiutare i migranti “a casa loro”, non qua?
Davanti ai nostri occhi abbiamo bambini, donne e uomini che fuggono da situazioni drammatiche, da guerre, povertà estrema, feroci dittature, e che viaggiano in situazioni drammatiche, spesso morendo durante il tragitto. Si tratta di un fenomeno estremo, tragico, a cui non si può rispondere come se si trattasse di un “normale” flusso migratorio. Non voglio negare la complessità della situazione. Tuttavia, credo che ci sia una domanda che non possiamo non porci: cosa fare adesso e qui con queste persone che invocano il nostro aiuto? La formula “aiutiamoli a casa loro” è giusta in linea di principio, ma ormai è sempre di più solo un modo ipocrita di lavarsi le mani di fronte a questa tragedia.
Lei cita ampiamente Papa Francesco che si spende pensando ai migranti. Dai sondaggi risulta che molti italiani, cattolici soprattutto, lo apprezzino di meno proprio per questo suo interesse. Cosa significa?
Papa Francesco ha levato con forza la sua voce, definendo quanto sta accadendo la tragedia più grande dopo quella della Seconda Guerra Mondiale. Cosa dire di questi sondaggi? I Vangeli mi sembrano chiari: “ero forestiero e mi avete ospitato”. Gesù invita a vedere nel volto dello straniero che chiede aiuto il suo volto. Dalla risposta a tale appello dipenderà la salvezza nel giorno del Giudizio. Poi certo molti si costruiscono una religione su misura, tagliando fuori ciò che risulta più scomodo. Gesù, però, non sembra sia stato molto disposto al compromesso sul punto.
Lei ricorda la parabola del buon samaritano. In più punti si richiama al “prendersi cura” del Vangelo, alla “disobbedienza civile” di Gesù che si disse “forestiero”. Lo spirito d’umanità è nel cristianesimo (o in quale cristianesimo)?
Io non sono credente, ma il discorso evangelico è una straordinaria sollecitazione per tutti. Ci invita ad instaurare un rapporto diretto con l’altro che ci chiede aiuto, a metterci nei suoi panni. È un punto fondamentale. Dobbiamo pensare che sui barconi ci sono delle persone come noi, che hanno un primato su tutto, anche sulla legge. La riduzione dell’altro a mero clandestino è un modo per spogliarlo della sua umanità. È importante l’immaginazione: non è semplice, perché siamo tutti presi dai nostri problemi, ma dobbiamo sforzarci di immedesimarci nella loro sofferenza, consapevoli del fatto che ci saremmo potuti trovare noi nelle loro condizioni. Nessuno di noi ha scelto il posto in cui nascere.
Sorrentino, lei affronta un interrogativo profondo: si può essere amorevoli con chi ci è vicino, in casa, e indifferenti e feroci con chi riteniamo estraneo, diverso da noi.
Purtroppo non è necessario essere dei mostri per fare cose mostruose. Anche il nazista nei campi era spesso un buon padre di famiglia. È determinante quello che accade dentro di noi. Nel momento in cui innalziamo dei muri interiori, che ci rendono insensibili nei confronti di tutto ciò che non è “nostro”, apriamo le porte all’orrore. Ecco perché è così importante, di fronte alla tragedia dei migranti, metterci nei loro panni.
Parlando di “prigioni libiche come i nuovi campi di concentramento” osserva che oggi sappiamo molto di più di quanto non sapessero gli europei durante la seconda guerra mondiale sui lager. Però oggi i più non vogliono sapere né sentire. Come mai?
Quello che sta accadendo è una vergogna, bisogna dirlo con forza. La priorità dell’Europa è arrestare i flussi. Non contano i costi umani: i morti, le sofferenze atroci nei campi di detenzione, le sistematiche violenze sessuali sulle donne. Stiamo facendo cose per le quali i nostri figli forse (spero) si vergogneranno di noi. I governi conoscono la situazione; anche noi cittadini sappiamo molto di quello che accade e questo aumenta le nostre responsabilità. Non abbiamo scuse. Nel libro parlo dei Lager nazisti. È una questione delicatissima e non bisogna cedere a nessuna semplificazione. Eppure l’unicità della Shoah non deve impedirci di interrogarci sulle sue relazioni con il nostro presente. Troppi, oggi come allora, si voltano dall’altra parte, per indifferenza, cinismo, assuefazione, passività.
Professore, lei si appella a uno spirito di compassione. Ma chi sta con Salvini si ritiene buono, nel giusto, e accusa gli avversari di ipocrisia, di falsità, di collusione con gli scafisti.
Questo concentrarsi sugli scafisti è ripugnante e ipocrita. Come se fossero loro il problema e non invece le drammatiche condizioni di vita che spingono ad emigrare. Sì, insisto sulla compassione, sulla capacità di mettersi nei panni di chi soffre. Quello che più mi preoccupa è la crescente insensibilità di fronte alla sofferenza altrui, perché apre una voragine nella quale la nostra civiltà rischia di precipitare. Anche i “duri di cuore” contro cui si scagliava Gesù ritenevano di essere buoni e nel giusto.
Sul tema serve un dialogo o serve una contrapposizione netta anche tra persone che si conoscono, serve uno scontro politico (non violento neanche nelle parole) senza nessuna concessione anche a costo di essere minoranza?
Nessuna concessione sui valori. Questo non esclude il dialogo. Ci sono fasce dell’opinione pubblica con le quali, credo, si può ancora interloquire, ad esempio mostrando quanto sia ingannevole la retorica della chiusura delle frontiere. In fondo questa esibizione muscolare del “dentro chi ha diritto e fuori tutti gli altri” è una colossale presa in giro, che in nome della sicurezza crea insicurezza, perché alimenta conflitti che prima o poi esploderanno con una potenza difficilmente gestibile. Si stima che la popolazione in Africa raddoppierà da qui al 2050. Praticamente domani. La retorica della chiusura non servirà ad arrestare i flussi, ma solo a far crescere il risentimento, per motivi diversi, tra le popolazioni europee e quelle africane: la premessa di conflitti devastanti che investiranno i nostri figli.
È vero che chi non convive con situazioni di migrazione nel quartiere, nella zona difende la causa dei migranti? È una battaglia dei ceti benestanti?
Indubbiamente nelle periferie le tensioni e i conflitti sono spesso molto aspri. Ancora una volta assistiamo ad una guerra tra poveri. Non voglio semplificare, ma è indubbio che non di rado lo stato di emarginazione, di sofferenza, di difficoltà di tanti italiani è dovuto alle stesse cause che spingono molti migranti a cercare di raggiungere il nostro paese. Pensiamo alla spaventosa crescita delle diseguaglianze e della precarietà provocata dalla globalizzazione neoliberista. Se solo le “vittime” invece di combattersi tra di loro si unissero per combattere i “carnefici” spesso comuni, la situazione cambierebbe drasticamente. Qui si sente l’assordante silenzio culturale e politico di gran parte della cosiddetta sinistra.
A pagina 55 scrive che “ci troviamo di fronte alle radici della nostra libertà e della responsabilità”. A suo parere, tanti italiani appoggerebbero una dittatura mascherata da democrazia pur di non vedere migranti intorno?
Credo che non siamo ancora al punto di rottura, ma che ci stiamo avvicinando ad esso molto rapidamente. Penso che sia un errore trascurare il potenziale autoritario di posizioni politiche e culturali che stanno conquistando sempre più terreno. Tuttavia, ritengo anche che non si debba evocare con troppa leggerezza lo spettro del fascismo e più in generale della dittatura, altrimenti si finisce per non comprendere la peculiarità di quanto sta accadendo. Quello che vedo è un imbarbarimento, una deriva grave e pericolosa, di fronte alla quale ciascuno di noi è chiamato a prendere posizione.
Vincenzo Sorrentino, “Aiutarli a casa nostra. Per un’Europa della compassione”, Castelvecchi Editore, pp. 96, euro 13.50
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