Dalle miniere alla Thailandia, prigionieri del sottosuolo

I bambini intrappolati rievocano pericoli ricorrenti. Dagli incidenti ai minatori fino al caso di Vermicino con il piccolo Alfredino Rampi che tenne l'Italia con il fiato sospeso

Dalle miniere alla Thailandia, prigionieri del sottosuolo
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5 Luglio 2018 - 10.58


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Enzo Verrengia

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Quattro mesi o pochi giorni per rivedere la luce. Sono le due ipotesi di corsa contro il tempo iniziata nel complesso sotterraneo di Tham Luang, a Chiang Rai, Thailandia settentrionale, dove i dodici piccoli calciatori e il loro allenatore attendono la salvezza dal fondo di grotte sul punto di subire gli allagamenti della stagione dei monsoni.
Torna subito alla memoria la tragedia di Alfredino Rampi, in diretta televisiva, dal 10 al 13 giugno 1981. Gli interventi a Vermicino ricaddero sotto la responsabilità dell’ingegner Elveno Pastorelli, comandante dei vigili del fuoco di Roma, che in seguito sostenne di avere la coscienza tranquilla per aver fatto tutto ciò di umanamente possibile. Individui magrissimi come Isidoro Mirabella, l’Uomo Ragno, e il sardo Angelo Licheri, riuscirono quasi a raggiungere Alfredino. Nessuno dei due, però, fu in grado di tirarlo fuori. Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, stazionò a Vermicino durante le fasi più critiche dei tentativi di salvataggio, incoraggiando i volontari e consolando Franca, la madre del bambino.
Ma sono soprattutto la miniere a fagocitare vite nelle viscere della Terra. E queste, come ogni componente dello stato primordiale delle cose, non perdonano mai le imprudenze degli esseri umani.
Marcinelle e le altre miniere maledette
L’8 agosto 1956 uno dei carrelli si bloccò nel montacarichi del pozzo del Bois du Cazier, a Marcinelle. Successivamente, una discrepanza fra i manovratori di superficie e quelli del sottosuolo provocò la rottura di un condotto di olio sotto pressione e di alcuni cavi elettrici. Risultato: una deflagrazione ed un incendio. Perirono 262 minatori, di cui 136 italiani. Erano “musi neri”, come li chiamavano in Belgio. L’ultimo dei 13 superstiti che erano stati riportati fuori vivi dalla miniera è morto nel 2007.
Cantavano i New Trolls in una canzone che a suo tempo scalò la hit parade, La miniera: «Le mani, la fronte / hanno il sudore / di chi muore / negli occhi, nel cuore, / c’è un vuoto grande / più del mare, / ritorna alla mente / il viso caro / di chi spera / questa sera / come tante / in un ritorno». Troppe volte, invece, quel ritorno è negato dai crolli, dai cedimenti dei sostegni, dalla crudele imprevedibilità del terreno.
Quattro anni fa, il 13 maggio 2014, si verificò un’esplosione nella miniera di carbone situata a Soma, nella provincia di Manisa, Turchia occidentale. La prima conta delle vittime fu di 274 lavoranti, cui si aggiunsero 120 dispersi. I ritardi nei soccorsi e la constatazione delle scarse misure di sicurezza suscitarono forti proteste contro Erdogan, quando il leader di Ankara giunse nella zona del disastro.
Nella miniera di Jan José, 45 chilometri a nord di Copiapò, in Cile, il 5 agosto 2010 crollò il tetto della miniera sotterranea. Rimasero intrappolati 32 minatori cileni e un boliviano. Per riportarli in superficie si dovettero impiegare tecnologie della NASA.
A Mount Kembla, in Australia, il 31 luglio 1902 una scintilla accidentale diede fuoco ad una sacca di gas e l’esplosione che ne seguì uccise 96 persone. Non solo adulti, anche bambini, sfruttati per quel lavoro. Eppure William Rogers, direttore della miniera, aveva dichiarato che «non esisteva nel modo più assoluto pericolo di gas». Il quotidiano Illawarra Mercury riportava che «mai prima di allora era stata rilevata la presenza di gas nel miniera». Il Sydney Morning Herald andava oltre: «Era una delle miniere meglio ventilate dello Stato».
A Springhill, in Canada, si registrano addirittura tre eventi luttuosi. Il 21 febbraio 1891 scoppiò un incendio negli impianti di carbone Numero 1 e 2: 125 morti e dozzine di feriti. Il 1º novembre 1956 un’esplosione nell’impianto Numero 4 provocò 39 morti. 88 furono salvati. Il 23 ottobre 1958 fu la volta di un bump, come sono denominati i terremoti sotterranei. I 75 sopravvissuti vennero riportati in superficie il giorno dopo.
Il 26 aprile 1946 vi fu l’esplosione di Benxihu, in Cina, una miniera di carbone, con la morte di 1.549 persone. Quel Paese conserva il più alto tasso di vittime nel settore. Fra il gennaio del 2001 e l’ottobre del 2004 sono avvenuti 188 incidenti, con un numero di perdite umane superiore alle 10 unità. Soltanto nel 2006 4.749 minatori sono deceduti in migliaia di esplosioni, allagamenti ed altre calamità.
Nel 1924 un giovane dottore scozzese fu nominato Ispettore Medico per le Miniere Britanniche. Si chiamava Archibald Jerome Cronin. Studiò gli effetti devastanti sull’organismo dell’inalazione di polveri di ferro nelle miniere della Cumbria. Da quelle esperienze trasse, La cittadella e … E le stelle stanno a guardare.
Nel 1964 Anton Giulio Majano traspose il primo dei due romanzi in uno sceneggiato. L’Italia si bloccò in lacrime a contemplare l’ascesa e la caduta del dottor Manson interpretato da Alberto Lupo. Con lui, Annamaria Guarnieri nella parte di Cristina, comprensiva e tenera consorte, ripagata da un adulterio e poi dalla morte. Il mélo non tolse la componente di critica sociale. Tanto più che gli esterni furono girati a Palombara Sabina, zona effettivamente mineraria. Lupo veniva fermato per strada per consigli medici. L’effetto Cittadella non si ripeté nel 1971 con la riduzione televisiva di …E le stelle stanno a guardare, di nuovo diretto da Anton Giulio Majano.
Dalla cronaca all’immaginario, la contemporaneità, fatta in apparenza di grandi spazi sottratti alla natura e a tutte le incertezze che oppone alla civiltà, ha i suoi antri, i suoi inferi. Sotto gli strati sempre più sovraffollati di un pianeta che sembra ormai del tutto esplorato seguitano ad annidarsi cavità pericolose dove vince la tenebra.

 

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