Enzo Verrengia
I Galli temevano che il cielo si abbattesse sulle loro teste, come sanno i numerosi lettori di Asterix. Ma che succede se davvero cade qualcosa dall’alto? È il caso della stazione spaziale cinese Tiangong-1, che in mandarino vuol dire “Palazzo Celeste”. C’è il rischio di non riuscire a controllarne la traiettoria finale, con l’eventualità che intorno a Pasqua finisca su zone abitate, fra cui l’Emilia Romagna. La Protezione Civile lancia l’avvertimento e si istituisce un tavolo di lavoro, cui partecipano rappresentanti della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri dell’Interno, della Difesa, degli Esteri, oltre a vari enti, fra cui l’Agenzia Spaziale Italiana
Anche la Puglia e la Basilicata erano nell’elenco delle zone a rischio per la caduta di scorie del satellite GOCE, Gravity Field and steady-state Ocean Circulation Explorer. L’Agenzia Spaziale Europea lo lanciò nel 2009 per tracciare una mappa gravitazionale della Terra. Dapprima vi fu l’effetto destabilizzante del sisma che sconvolse il Giappone nel 2011. Esaurito il carburante, il satellite precipitò nell’atmosfera. Il grosso, però, si disintegrò nell’attrito, e altre particelle proseguono in basso senza danni.
Fra il 23 ed il 24 settembre del 2006, l’Italia del nord era compresa nella potenziale area d’impatto del satellite NASA UARS, Upper Atmosphere Research Satellite, dalla stazza di un autobus e dal peso di 5 mila chili. Nel marzo 2008, stava per precipitare un dispositivo spionistico con materiali radioattivi. La missione dell’Apollo 13, oltre a impedire un nuovo atterraggio sulla Luna e mettere in pericolo gli astronauti, comportò l’utilizzo del modulo Acquarius per salvare i tre uomini della navicella. A bordo c’era anche il generatore di radioisotopi SNAP-27 che si distrusse nell’atmosfera al rientro. Non vi furono dispersioni dannose. Andò al contrario per il Cosmos 54, satellite militare sovietico di sorveglianza oceanica che seguiva le rotte dei sottomarini, determinanti in caso di conflitto. Il suo radar veniva alimentato da un reattore nucleare. Dopo la sua caduta, in un’area desertica del Canada nord-occidentale, rottami ad alte emissioni radioattive si sparsero su una superficie di 20 x 600 chilometri. I canadesi spesero per la decontaminazione 8 milioni di dollari. La spesa fu rimborsata dal governo di Mosca.
Ma la madre di tutte le cadute spaziali fu quella del 1979. La stazione Skylab, con le sue 78 tonnellate di peso, uscì dall’orbita. Per fortuna, i rottami piombarono nell’Oceano Indiano e in una regione sperduta dell’Australia occidentale. Più serio l’incidente del 2000. L’osservatorio Compton Gamma Ray, 17 tonnellate, deviò dalla rotta programmata. Si riuscì a pilotarne la caduta con due missili e il relitto finì in un tratto isolato del Pacifico.
Quel satellite-spia fu abbattuto?
Vi sono poi gli episodi mai del tutto acclarati. Per esempio, l’impatto atmosferico di un satellite scientifico i cui resti poi si dispersero nel Golfo Persico. Oppure il caso del sospetto KH13, sigla di un’efficiente generazione di congegni automatizzati per lo spionaggio dallo spazio, che si sostiene sia caduto vicino al villaggio di Puno nel Perù. Inizialmente l’impatto fu attribuito a un meteorite. Soltanto che le esalazioni sprigionatesi dal cratere avrebbero fatto ammalare diversi contadini del posto. A questo punto entra in gioco la Pravda, allora organo ufficiale moscovita, sulle cui pagine esce un servizio che riporta fonti dell’intelligence per supportare la tesi che fosse precipitato un satellite KH13, messo in orbita per sorvegliare l’Iran. La causa dei malesseri toccati ai contadini si sarebbe dovuta cercare nelle radiazioni emesse dai rottami. La cronaca deraglia nel romanzesco. Perché, sempre secondo la Pravda, il satellite non sarebbe caduto per errore, bensì ad abbatterlo sarebbe stato un’unità del Trentesimo Space Air Wing, di base al centro spaziale di Vandenberg, in California.
Scrive Sergio De Julio, già presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana: «Con le tecnologie attualmente disponibili non esistono metodi economicamente praticabili per rimuovere dallo spazio una frazione significativa dei detriti orbitali; solo gli oggetti più piccoli e a quota più bassa rientrano nell’atmosfera entro un tempo ragionevole. Oggi le principali agenzie spaziali devono affrontare questo nuovo problema, che minaccia le loro future attività causando collisioni, anche catastrofiche, con satelliti operativi o con veicoli spaziali abitati».
L’allarme prefigura la trama di Gravity, il film di Alfonso Cuarón. Qui è proprio l’impatto con i resti di un satellite che manda alla deriva la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) e l’astronauta Matt Kowalsky (George Clooney). Concludono tre fisici italiani, Luciano Anselmo, Bruno Bertotti e Paolo Farinella: «Il problema dei detriti spaziali può essere risolto solo con accordi internazionali che comportino inevitabilmente limitazioni all’uso dello spazio».