di Delia Vaccarello
Il corpo è a scadenza. Finita la crescita si deteriora giorno dopo giorno. Siamo tutti di passaggio. Ma come facciamo a non esserne sopraffatti, che strumenti abbiamo per vivere? L’esperienza, sì, forse l’esperienza può rallentare la caducità. Ma siamo davvero in grado di “fare esperienza”? Ancora. Per farla occorre smetterla di crederci immortali? Accettare di essere mancanti tutti (maschi e femmine)? Meglio finirla di opporci alla finitezza. Meglio accogliere la vulnerabilità, “farsi madri di creature ferite”. Schiudersi. Vedere le cose come fossero sempre nuove ai nostri occhi. La questione riguarda ogni aspetto della nostra vita, dalle relazioni alla conoscenza, alla politica, all’etica. E ci vede impegnati a lavorare per incontrare l’Altro affinché non prevalgano logiche di guerra.
Temi cruciali che investono anche l’amore, per via del serrato confronto/conflitto tra eros e thanatos, per via del lutto e della nostalgia. Allora: possiamo parlare di una etica della caducità?
Se la natura non ci allieta perché sappiamo che la primavera fugge, perché i fiori durano il tempo di un respiro, cosa sta frenando la nostra gioia? Se lo chiese Freud dopo la passeggiata con Rilke a San Martino di Castrozza . Se lo è chiesto Antonello Correale mercoledì sera presso l’Istituto italiano per gli studi filosofici a Roma nel corso della terzina di incontri che ha dato inizio questa settimana al ciclo di seminari sul tema, appunto, “Per un’etica della caducità”. Gli incontri proseguiranno fino a giugno e vedono la curatela e l’impegno (nonché la presenza) di Paolo Vinci, Cristiana Cimino, Antonello Correale. L’idea vuole fare tesoro dei punti di contatto tra pensiero filosofico e approccio psicanalitico. Ha avuto una prima concretizzazione nel 2013, proseguendo lo scorso anno con incontri anche presso la casa Internazionale delle donne dal sapore più interdisciplinare. Ritorna in questa stagione con interlocutori che assicurano approfondimento, proposte teoriche e politiche e hanno visto già da questa settimana la viva partecipazione di filosofi, psicanalisti, intellettuali, studenti di ogni età, in buona parte giovani (qui l’intero programma, che giovedì alle 19 propone il seminario di Bruno Moroncini, mentre martedì 23 ad aprire è stato Paolo Vinci).
Torniamo alla passeggiata in montagna. Alle osservazioni di Rilke, Freud rispose (si legga caducità) che possiamo esser lieti e godere della primavera perché la primavera che fugge dopo alcuni mesi tornerà. E anche perché l’effimero dei fiori potrebbe renderceli ancora più cari (vedi anche “Su Freud”, Adelphi, e l’interpretazione di Elvio Fachinelli). Ma riflettendo si chiese come mai il poeta non riuscisse a godere di quell’esperienza. E si rispose che Rilke era a lutto. “Il lutto non superato introduce una stasi”, sottolinea Correale “inchioda a un eterno presente”. La persona cara che muore (ma anche la dimensione perduta, ad esempio la giovinezza o la salute) si porta via molto di noi. Elaborare il lutto vuol dire staccare filo per filo la corda che ci vede uniti a chi (o cosa) non c’è più. Il lutto si presta a un sufficiente intervento di riparazione, ma che dire della nostalgia? “Lì c’è una colpa, una autoriprovazione, il soggetto si rimprovera della mancanza che ha subito”. E resta in una sorta di fissità. Legato a una interlocuzione con oggetti interni. Che accade nelle relazioni sentimentali? In amore diveniamo l’altro, continua Correale, ma è possibile identificarsi nell’oggetto amato e anche no,è possibile identificarsi ed essere anche se stessi. Chiaro: per fare esperienza di qualcosa occorre non essere costantemente in dialogo con un oggetto interno (come avviene nella nostalgia o nel lutto non elaborato). Il tema della caducità, ha segnalato Vinci, ci porta a quello della perdita. La transitorietà, poi, è il tema di fondo della storia della filosofia non disgiunto dalla grande questione della mancanza costitutiva, della castrazione. “La scommessa – ha ricordato Cristiana Cimino – è proprio quella di non combattere la caducità”. E di farsi madri di creature ferite perché noi stessi feriti, evocando Fachinelli. Caducità è infatti anche vulnerabilità. “Ciò che va combattuto – ha riprso Correale – è piuttosto l’immobilismo della contemplazione nel lutto”, aprendo gli occhi al mondo come fosse la prima volta, così a poesia, scienza, etica. In gioco però c’è anche il riconoscimento dell’assassino che abita in ognuno di noi, del super io violento che attacca le pulsioni, l’es. Di ciò che ci fa sprecare vita, che alza i freni. Si dà esperienza se si stacca filo per filo la trama che ci ancora a thanatos (che malgrado ciò non resta certo con le mani in mano). E allora si può reinvestire, disancorandoci dalla stasi. Si può vivere.
Una messe di domande ha visto mercoledi sera Antonello Correale rispondere con puntualità, garbo, commozione e grande capacità di far sentire a casa, nella casa di temi così fondamentali, i partecipanti.