di Delia Vaccarello
Cos’è un animale? E’ terra, parla con la terra dentro cui si muove e della quale si ciba. E’ la terra nella quale vive e deve difendersi. Per capirlo uno scrittore si fa tasso, volpe, rondone.
L’animale ha le radici, anche se sono mobili. Con un esperimento letterario ma anche giornalistico, da scrittore e da inviato, per interrogare gli animali Charles Foster si è fatto animale. Con la penna tra le zampe e sotto le ali ha dato alle stampe “L’animale che è in noi” (Bompiani). A questo punto si è chiesto chi è l’uomo e quali siano le diversità tra le specie.
Cosa è l’animale? “È una conversazione perdurante con la terra da cui viene e da cui è costituito”. Ma allora, a differenza dell’animale, cos’è un essere umano?
“È una conversazione perdurante con la terra da cui viene e da cui è costituito – ma una conversazione più artificiosa e balbuziente di quelle della maggior parte degli animali selvatici.”
Se l’antropocentrismo vuole che l’uomo sia superiore perché ha il logos, Foster dice che animale e uomo si distinguono per capacità di “conversazione” con la differenza che l’animale conversa con la terra in maniera esplicita, l’essere umano incespica e distrugge. Il libro è anche un dono di autobiografia: nel farsi tasso lo scrittore porta con se il figlio di otto anni dislessico, Tom, ritenendo che il figlio abbia una marcia in più: “Non ha il mio handicap: la tragica patologia di considerare significativo qualcosa solo se e nella misura in cui posso ficcarlo in una frase”.
E nel farsi tasso, insieme al figlio, si cala in una buca dove dorme proprio come i tassi a fianco a Tom ma con la testa che guarda i piedi di lui, per guadagnare spazio, e gli capita di sognare proprio come fanno i tassi chiedendosi se davvero la coscienza sia una marcia in più della specie umana e che voglia dire in fondo il sogno del tasso.
Nel farsi animale lo scrittore indaga per ragioni legate anche al suo essere genitore il mondo pre-verbale. Così “da tasso” ci descrive cosa vuol dire avere un verme in bocca, e che tipo di verme, setaccia i cassonetti della spazzatura come una volpe di città che cerca cibo, segue le rotte migratorie dei rondoni che dall’Europa arrivano in Africa. L’interrogativo è: possiamo valicare i limiti della specie e vivere come se fossimo animali? E poi capire le diversità e farne tesoro?
Il libro ci trascina lungo contaminazioni di sguardi tra specie, scorre grazie a una scrittura mai sentimentale, spesso in grado di attingere a patrimoni delle neuroscienze, e non priva della immedesimazione con la terra di cui sono fatti gli animali. Il risultato in certi passaggi è la gemma di una comparazione che calibra i valori dell’essere umano. Lo scrittore ritiene ad esempio che il tasso faccia una “bella vita” alla quale per nulla al mondo vorrebbe rinunciare, a differenza di quanto facciamo noi magari mettendo in secondo piano alcuni momenti di piacere distratti dalle brame del carrierismo o dalla affermazione nell’agone sociale. “I tassi sono dei filosofi. Hanno un concetto di “bella vita” che implica un soggetto in grado di attuarlo. Questo soggetto non vuole perdere le gioie neurologiche di coccolare i cuccioli strofinando il muso contro il loro o di annusare l’aglio orsino e gustare i vermi sulla lingua”.
Così se noi umani ci siamo trasformati in superspecialisti sclerotizzati, con gli occhi ficcati nello smartphone indifferenti all’ambiente, a trionfare per capacità polivalenti sono le volpi. Le volpi dell’East End, dei sobborghi di Londra, sono esseri superiori, che conoscono tutto di una terra alterata e non hanno dimenticato la solidarietà. Se una volpe perde una zampa falciata dalle lame di un tosaerba, la sorella il giorno dopo le porta il cibo nella conca erbosa dove ci sono ancora le tracce del suo sangue. Si aiutano, conoscono la sofferenza, la maestosità di una caccia per fame nella ferocia di un ambiente urbano. Dinanzi alla “potenza” di una strada sovraccarica di traffico, la volpe sente forte e chiaro, pur frequentando l’East End, il richiamo verso ciò che conta.