C’è un gesto antico, quasi rituale, nel decidere di uscire di casa per andare al cinema. Si sale in auto, o magari ci s’incammina, attraversando la città. Si spegne il cellulare e si entra in un luogo collettivo e confortevole dove “si stacca la spina”. È un atto semplice, ma in un’epoca in cui tutto è disponibile dal divano di casa “on demand”, assume il valore di sospensione della realtà.
La psicologa e psicoterapeuta Alessia Romanazzi, contattata da UCI Cinemas osserva che “la sala si trasforma in una bolla sospesa, un luogo protetto dove il tempo quotidiano resta fuori e noi possiamo finalmente lasciarci andare. Il buio ci schermisce dagli stimoli esterni e ci permette di concentrare lo sguardo solo sullo schermo, le musiche catturano l’attenzione e catalizzano i pensieri, le poltrone ci avvolgono in un abbraccio morbido che invita al lasciarsi andare: ogni dettaglio del setting concorre a rendere l’esperienza immersiva”.
Insomma, una disconnessione consapevole. Quando si spengono le luci in sala è proprio il buio condiviso a fare la differenza. La percezione del tempo cambia tant’è che si sospende l’automatismo smanioso del controllo delle notifiche, la necessità di alzarsi per controllare la pentola sul fuoco o di rispondere con affanno al citofono. Ci abbandoniamo alla storia con un piccolo ma importante gesto fiduciario nel film, nel regista, negli attori e, soprattutto, nel nostro bisogno di perdersi per un po’.
Non solo guardiamo un film che a volte ci fa sorridere, altre volte commuovere, ma è come se iniziassimo un viaggio che non ha bisogno di Gps. Un attraversamento che si compie soltanto nel buio dove nessuno ci osserva davvero e ci sentiamo liberi di vivere emozioni senza condizionamenti, se non quello della “storia” che abbiamo scelto.
La visione casalinga, per quanto comoda, non può riprodurre quel senso di immersione collettiva, quella comunione silenziosa che si crea tra sconosciuti davanti a uno schermo. Ogni risata, ogni sussulto, ogni trattenimento di respiro diventa un filo invisibile che lega le persone. È un’esperienza che assomiglia a quella di stare a teatro, ma più intima, perché avviene al buio e nel segreto dello sguardo.
Regalarci uno spazio e un tempo “altro”, dove ci è concesso di non essere connessi, di non reagire subito, di non spiegare tutto e subito, è forse il valore più profondo del cinema in sala. In quell’ora e mezza di oscurità ‘luminosa’, non siamo più produttivi né distratti, ma solo semplicemente presenti.
Alla fine, uscire da quella bolla, rientrare nella notte o nel chiaroscuro del tramonto ha sempre qualcosa di strano. Per un attimo il mondo intorno a noi ci pare cambiato, o forse, molto più semplicemente, per quell’attimo siamo cambiati noi.
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