Ventinove anni fa nasceva Dolly, la pecora che ha riscritto la vita

La verità nascosta dietro un “sorriso” di un animale, in un esperimento, con tre madri e un sogno: dalla fabbrica di vita ai dibattiti morali che ancora dividono.

Ventinove anni fa nasceva Dolly, la pecora che ha riscritto la vita
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2 Luglio 2025 - 08.37


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di Lorenzo Lazzeri

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In Scozia, il 5 luglio 1996, era nata Dolly, una pecora all’apparenza normale, che custodiva un segreto. Era il primo mammifero clonato da una cellula adulta. La notizia, costudita gelosamente per mesi, arrivò a sorpresa solo nel febbraio del 1997. Irruppe sui media con tanto clamore e trovò un pubblico impreparato e una società che si trovò a dover affrontare un cambiamento di paradigma.

Ma Dolly, di fatto, non fu il primo animale clonato; già nel 1958, John Gurdon aveva riprodotto rane artigliate africane, gettando le basi per la comprensione della plasticità cellulare che avrebbe aperto la strada a Dolly che sembrava uscita da un romanzo di fantascienza. Fu, invece, frutto del lavoro instancabile di Keith Campbell, Ian Wilmut e dei loro colleghi del Roslin Institute di Edimburgo, in collaborazione con PPL Therapeutic.

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Wilmut, poi insignito del titolo di cavaliere, guidò il team, ma fu Campbell a intuire il passaggio critico necessario per portare le cellule donatrici in uno stato di quiescenza, situazione fondamentale per la riprogrammazione e il successo della clonazione da cellule adulte.

Dolly aveva anche altre peculiarità, ben tre “madri”. Una fornì l’ovulo, un’altra il DNA e una terza portò a termine l’embrione clonato. È importante notare che sebbene il suo DNA nucleare fosse identico a quello della donatrice, il DNA mitocondriale – ereditato quasi esclusivamente per via materna dall’ovocita e distinto dal DNA nucleare – proveniva dalla pecora donatrice dell’ovulo. All’epoca, gli effetti specifici del DNA mitocondriale non erano ancora pienamente compresi, ma oggi sappiamo che possono influenzare la salute e le caratteristiche dell’organismo.

Il successo di Dolly dimostrò in modo inequivocabile che un organismo clonato poteva essere generato da una cellula matura e differenziata; in questo caso si trattava di una cellula della ghiandola mammaria, sfidando l’idea radicata che la differenziazione cellulare fosse un processo irreversibile. Questa piccola pecora provò, invece, che il materiale genetico poteva essere “riprogrammato” a uno stato embrionale, totipotente – (capace cioè di dare origine a un individuo completo n.d.r.).

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L’efficienza iniziale di questa tecnica era però estremamente bassa, tanto che Dolly fu l’unico agnello a sopravvivere fino all’età adulta su ben 277 tentativi. Tale bassissima efficienza divenne rapidamente il punto di preoccupazione etica prevalente, alimentando le argomentazioni contro la clonazione umana e le discussioni sulla “distruzione della vita” nei numerosi tentativi falliti.

Dolly visse al Roslin Institute, conducendo una vita relativamente normale e dando alla luce sei agnelli sani. Fu soppressa il 14 febbraio 2003, all’età di sei anni e mezzo, circa la metà dell’aspettativa di vita media di una pecora. La causa ufficiale fu un’adenomatosi polmonare, comune nelle pecore allevate al chiuso e un’artrite agli arti posteriori. Inizialmente, vi furono molte speculazioni sulla sua morte precoce e i suoi disturbi fossero legati al suo status di clone, e a un’età genetica di sei anni alla nascita a causa di telomeri più corti (i telomeri sono un tipo di DNA che protegge le estremità dei cromosomi, considerate un “orologio biologico” dell’invecchiamento cellulare); malgrado ciò, studi successivi hanno ampiamente confutato un legame causale diretto.

Roslin Institute di Edimburgo

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Ma la vera svolta, ispirata dal successo di Dolly, fu la scoperta del 2006, delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) da parte di Shinya Yamanaka. Le iPSC sono cellule staminali generate direttamente da cellule somatiche adulte, che offrono un’alternativa meno controversa eticamente rispetto a quelle embrionali, poiché non richiedono la distruzione di quest’ultime.

I progressi nell’ingegneria genetica, nel 2009, hanno portato i ricercatori del Centro de Investigación en Agrigenómica (CRAG) a Barcellona a clonare Diana, un agnello geneticamente modificato per produrre alfa 1-antitripsina umana (proteina che svolge un ruolo nella protezione dei polmoni n.d.r.) dal suo latte, provando la possibilità di “pharming” (la produzione di farmaci negli animali).

La clonazione è stata successivamente applicata con successo in molti altri mammiferi, dai bovini ai primati, ma anche per la conservazione di specie in pericolo e persino per la de-estinzione di specie oramai scomparse, come dimostrato il successo della clonazione dell’ibex dei Pirenei (uno stambecco), ma in futuro anche il dodo, il lupo marsupiale della Tasmania, la tigre di Java e altri.

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Visti i risultati la ricerca si è spinta in più direzioni e negli anni l’efficienza della SCNT (Trasferimento Nucleare di Cellule Somatiche) è migliorata notevolmente, tanto che nel 2014, si riportavano tassi di successo del 70-80% per la clonazione di suini (nei laboratori cinesi n.d.r.).

Occorre sottolineare che la clonazione fece anche scattare campanelli d’allarme su una sua possibile applicazioneumana. Si temeva che i cloni potessero mancare di un’unicità genetica e avrebbero sofferto di aspettative irrealistiche, violando il loro “diritto a un futuro aperto”; altre voci preoccupate riguardarono i “bambini su misura” e a una nuova forma di eugenetica, con cui gli esseri umani avrebbero potuti essere selezionati o creati con tratti specifici, violando i principi di dignità umana, libertà ed uguaglianza. Per molti pensatori religiosi e laici, clonare esseri umani era intrinsecamente immorale, un atto di “hybris” o “giocare a Dio”, un superamento dei limiti umani o divini.

Altresì, le tecniche sviluppate potrebbero portare alla creazione di cellule staminali geneticamente identiche al paziente, rivoluzionando la medicina rigenerativa. Immaginate tessuti e organi di ricambio coltivati in laboratorio, senza rischio di rigetto immunitario, per trattare malattie renali, cardiache, il diabete e forse anche lesioni spinali. Un’altra frontiera è quella degli xenotrapianti, la produzione di organi animali geneticamente modificati (principalmente suini) per sopperire alla cronica carenza di organi umani, una pratica ancora in fase sperimentale, ma, certo promettente.

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La pecora Dolly ha aperto una vera e propria “scatola di Pandora” scientifica ed etica. La sua storia ci pone di fronte a una domanda fondamentale: useremo il “dono” di Dolly per curare e migliorare la vita o ci lasceremo sopraffare dalle sue potenziali “sfide” etiche e morali? La risposta non sta solo nei laboratori, ma nella coscienza collettiva, nelle scelte politiche e culturali, nella capacità della società di bilanciare l’innovazione con la responsabilità.

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