Alice D'Ercole: "Con il voto ai referendum non si delega nessuno a cambiare le norme"

Le parole della segreteria generale della sezione della CGIL di Siena e i quattro quesiti referendari spiegati in breve.

Alice D'Ercole: "Con il voto ai referendum non si delega nessuno a cambiare le norme"
In foto: i quattro quesiti referendari sul lavoro
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13 Maggio 2025 - 17.31


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di Arianna Scarselli

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A meno di un mese dalla chiamata alle urne per milioni di italiani ancora si sente parlare troppo poco del referendum al quale ci apprestiamo ad andare a votare. Quattro su cinque sono i quesiti riguardanti il mondo del lavoro e i diritti dei lavoratori proposti e portati avanti dalla CGIL. Li approfondiamo insieme a Alice D’Ercole, segreteria generale della sezione della CGIL di Siena.

Da cosa nascono questi referendum?

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Negli ultimi 20 anni si è realizzato un modello di società fondato sulla povertà lavorativa, sull’assenza di diritti e sulla precarietà, sulla scomposizione delle filiere, sulla frammentazione dei cicli produttivi in cui si lavora sotto il ricatto del licenziamento, che ti costringe ad abbassare la testa di fronte all’ingiustizia e ad accettare spesso condizioni di lavoro con bassi salari e nessun diritto.

Quando si consente un modo di fare impresa che scarica i rischi sul lavoro, succede che la normalità sono le assunzioni a tempo determinato e in somministrazione, così puoi evitare l’iter dei licenziamenti a fronte di scelte imprenditoriali di delocalizzazione e chiusure di stabilimenti. Così che, in un cantiere come quello dell’Esselunga a Firenze, ci possano essere decine di ditte che ci lavorano, in una catena infinita di subappalti a cascata e che ci voglia quasi una settimana per risalire a chi fossero i datori di lavoro degli operai morti, che di fronte alla strage (che ogni giorno vede 3 persone uscire di casa e non fare ritorno) ci sia la totale assenza di responsabilità che si traduce spesso in un’impunità di fatto.

I referendum sul lavoro vogliono restituire al lavoro la dignità del suo essere la spina dorsale della nostra società. L’articolo 1 della Costituzione dice che L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma se non è stabile, tutelato e sicuro, non è lavoro. E senza il lavoro non c’è democrazia. 

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Quanto è stato forte l’impatto del Jobs Act sul mondo del lavoro e i diritti dei lavoratori?

Con il Jobs Act si voleva aumentare la competitività delle imprese, gli investimenti privati e la produttività del lavoro riportando al centro il contratto a tempo indeterminato attraverso l’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti, trasformando il diritto alla reintegra nel luogo di lavoro in un indennizzo crescente in base all’anzianità con un massimo di 36 mensilità per le grandi aziende e di 6 mensilità nelle aziende con meno di 15 dipendenti.

Secondo i dati del 2024, elaborati quest’anno, in Italia ci sono 19 milioni di lavoratori dipendenti di cui quasi il 30%, ovvero 6 milioni, sono precari e/o part-time, perlopiù involontari; i giovani più istruiti emigrano verso Paesi che garantiscono loro un impiego migliore, il riconoscimento delle loro competenze, stabilità lavorativa e salari adeguati. Inoltre, complice l’assenza di politica industriali, l’economia italiana perde terreno nei confronti delle altre economie. Siamo al 26esimo mese consecutivo di calo di produzione industriale e la crescita del PIL è pressoché azzerata.

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É stata una riforma fallimentare, con un unico obiettivo conseguito: rompere i legami forti e l’identità sociale che si realizzano nel lavoro e per questa via indebolire la forza contrattuale delle lavoratrici e dei lavoratori nel sindacato.

Quali crede siano i timori di chi si oppone ai primi quattro quesiti referendari? 

Che cambi il vento. Se il 50% degli elettori si recherà alle urne per votare un’inversione di rotta sul lavoro, questo sarebbe il grido dei cittadini che imporrebbero alla politica una nuova strada. Chi ha in mente un Paese in cui la ricchezza si deve polarizzare nell’interesse del profitto e del 5% della popolazione che detiene il 50% della stessa, la paura di vedersi imporre scelte che restituiscono diritti e rafforzano l’idea di giustizia sociale nella redistribuzione della ricchezza verso il lavoro fa paura.

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Cosa ne pensa del quorum e dei politici che in maniera più o meno esplicita hanno invitato all’astensionismo?

Siamo nel pieno di un vulnus democratico quando il Presidente del Senato, la seconda carica dello Stato che dovrebbe difendere la Costituzione Italiana, invita a non praticare quel dovere civico contenuto nell’art.48. Significa mettere in discussione la più grande conquista di libertà: la democrazia! 

Un’idea di Paese radicata nei valori di libertà, antifascismo, solidarietà e giustizia sociale che la Resistenza partigiana ci ha consegnato e che oggi dobbiamo preservare. Ed è proprio il disprezzo verso i processi democratici che rende ancora più evidente la necessità di difendere la nostra democrazia praticandola, attraverso lo strumento della sua massima espressione: il voto!

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Se i referendum non passeranno quali saranno le prossime mosse? 

Credo che la voce del lavoro si farà sentire nelle urne dell’8 e 9 giugno. Perché con quel voto non si delega nessuno a cambiare le norme, possiamo essere tutti per un giorno seduti in Parlamento e decidere direttamente sulle nostre condizioni materiali di vita, riconquistando diritti e la nostra dignità.

Andando al dettaglio, questi sono i quattro referendum sul lavoro ai quali facciamo riferimento e per i quali andremo a votare l’8 e il 9 giugno.

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Licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti: Il primo quesito propone l’abrogazione del Decreto Legislativo n. 23/2015, decreto che è andato a sostituire l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e ha creato un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo con minori tutele dei lavoratori. L’obiettivo del referendum è ripristinare la possibilità di reintegrazione del lavoratore  nel  suo posto di lavoro,  in  tutti i casi di accertato licenziamento illegittimo.

Indennità per licenziamenti nelle piccole imprese: Il secondo quesito si pone come obiettivo di eliminare il tetto massimo all’indennità (attualmente 6 mensilità) per licenziamento illegittimo all’interno delle aziende con meno di 15 dipendenti. Il tetto attuale limita le possibilità per il giudice di dare il giusto valore, anche in termini economici, alla gravità del licenziamento.

Contratti a termine: Il terzo quesito propone l’abrogazione di alcune  norme del Decreto Legislativo n. 81/2015, nello specifico la possibilità oggi concessa ai datori di lavoro di stipulare contratti senza causale (cioè senza indicare un motivo specifico) per i primi 12 mesi. Il quesito propone di eliminare questa possibilità, rendendo obbligatoria la presenza di una giustifica della stipulazione di un contratto a termine fin dal primo momento con l’obiettivo di contrastare il ricorso a forme contrattuali precarie e incentivando forme di lavoro più stabili e tutelate. 

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Responsabilità solidale negli appalti: Il quarto quesito propone una riforma dell’attuale normativa che prevede la non responsabilità del committente per gli infortuni subiti dai lavoratori se i danni derivano da rischi specifici dell’attività svolta dagli appaltatori (e subappaltatori). Con l’approvazione del referendum la responsabilità verrebbe estesa anche al committente.

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