Che ci piaccia o meno dovremmo abituarci a cambiare i nostri stili di consumo. Questa volta non si tratta di una scelta dettata da motivazioni etiche o ambientaliste, ma di un’imposizione da cui non possiamo più fuggire. La causa? Il cambiamento climatico, ovviamente, i cui effetti sono già ben evidenti confrontando il prezzo dei prodotti sugli scaffali rispetto a qualche anno addietro.
Noi italiani, tra i più grandi consumatori di olio extra vergine d’oliva, di certo ce ne saremmo accorti. Negli ultimi tempi il suo prezzo è infatti quasi raddoppiato: dai circa sei euro al litro per un extra vergine da olive UE ed extra-UE si è passati a dieci euro o più. Di mezzo c’è sicuramente anche la speculazione operata sui mercati, ma in questo caso c’entra relativamente poco. La colpa del rialzo è principalmente legata ai raccolti dei grandi paesi esportatori di olio, ovvero Spagna, Italia, Grecia, Tunisia, Portogallo, Turchia e Marocco. Il caso iberico è quello più eclatante. Dopo aver toccato quasi un milione è mezzo di tonnellate nel 2021, il raccolto del 2023 ha fatto segnare 756mila tonnellate. Circa la metà.
Sebbene l’annata corrente stia facendo registrare una ripresa, il trend generale rimane comunque preoccupante. Soprattutto per quanto riguarda i paesi europei, storicamente i più grandi produttori. Ciò, inevitabilmente, porta a dover modificare i nostri stili di consumo e a dover considerare l’olio d’oliva non più come una commodity, un bene di largo consumo, ma come un bene di lusso. Un qualcosa che, a prescindere dal costo, forse avremmo già dovuto fare: qualitativamente parlando molti oli di semi non sono peggiori e usare l’extra vergine per tutto davvero non ha senso. Che organoletticamente quello d’oliva sia superiore è indubbio, ma esistono delle alternative di semi che, a una frazione del costo, sono nutrizionalmente equiparabili.
Stessa sorte, purtroppo, la sta vivendo un altro prodotto amatissimo in tutto il mondo: il cacao. Secondo le stime dell’International Cocoa Organization, tra i maggiori enti che operano nel settore, l’ultima annata vedrà un calo della produzione di fave dell’11%. Nell’ultimo bollettino trimestrale l’Icco ha riportato una drastica diminuzione in Ghana e Costa d’avorio, paesi dai quali proviene circa il 60% del cacao consumato globalmente. La causa? Le avverse condizioni climatiche che hanno colpito l’Africa occidentale, causando una quantità di precipitazioni piovese assolutamente anomala.
Ciò ha fatto aumentare il prezzo del cacao del 40% rispetto allo scorso gennaio, costo più che raddoppiato se confrontato a quello del 2023. Una tonnellata di cacao è persino arrivata a costare ben 11mila dollari nel mese di aprile, un record mai neppure lontanamente sfiorato. Di nuovo, le operazioni speculative hanno un ruolo in tutto ciò, ma non è il fattore principale. Quanto scritto, inevitabilmente, non può che ripercuotersi sui consumatori finali: la Mondelez, multinazionale che possiede la Toblerone, ha già aumentato i prezzi del 6%. Ma, soprattutto, ha affermato che sarà costretta ad alzarli ulteriormente se il trend continuerà a essere lo stesso.
Per tutti noi spesso ciò si traduce con confezioni che contengono meno prodotto rispetto al solito: è il famigerato fenomeno della shrinkflation. Basti pensare al caso delle bottiglie d’extravergine d’oliva: da qualche tempo il formato più diffuso non è più quello da un litro ma da 750 ml. Allo (sprovveduto) consumatore sembrerà che il costo della singola bottiglia sia sempre lo stesso, peccato che quest’ultima sia più piccola del normale.
In conclusione, di campanelli di allarme ne abbiamo avuti, e pure tanti. Tutti bellamente ignorati. Se le uova di Pasqua diventeranno appannaggio esclusivo delle classi più abbienti, purtroppo la colpa sarà soltanto nostra.