Dalle nomine di vertici televisivi a quelle dei Governi, dalle nomine dei collaboratori in un’azienda o in un’istituzione a quelle in un’associazione e condominio, dalle nomine di vescovi, docenti, parroci cattolici a imam, rabbini o altri capi religiosi – e via discorrendo – esiste una linea antropologica ed etica che “accomuna” il perché e il chi si nomina. In sintesi, potremmo dire che il potere si “autoreplica”. Essendo i collaboratori una sorta di proiezione concreta del modo di essere del leader e del suo concepire il potere, dal tipo di collaboratori scelti si comprende lo stile del leader, la sua formazione umana e etica. Cioè i leader – se liberi fra forti pressioni o ricatti – tendono a nominare persone molto simili a loro in qualità ed equilibrio umani, in tenuta etica e in capacità tecnico-professionali.
Non ci sono dubbi sul fatto che il leader, una volta che si è convinto della necessità di dividere e condividere il suo potere e di aver conquistato la necessaria libertà per procedere alle nomine, nel nominare i suoi collaboratori proietta molto di sé, se non proprio tutto se stesso (ne ho parlato nel mio “Il potere. Uno spazio inquieto”, Castelvecchi). Per l’analisi dei processi di nomina si potrebbe assumere il principio che afferma Dietrich Bonhoeffer: «le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda».
La quantità si riferisce a leader di bassa qualità umana, etica e tecnica, circondati da collaboratori, da essi scelti, dello stesso spessore. Le quantità, per definizione, si contendono lo spazio; ossia vivono un rapporto di concorrenza, alla stregua di merci, che si contendono lo spazio del mercato per raggiungere più compratori possibili, tra invidie, scorrettezze e sociopatie varie. La nostra attenzione ricade, quindi, su quei leader che non riescono a creare un clima di cooperazione, fiducia e intesa con i collaboratori, come similmente con tutti i membri di un’istituzione. Sono leader sostanzialmente incapaci. Esercitano il potere non per far crescere l’istituzione e promuovere il bene comune e la giustizia, ma per accrescere la propria posizione, gonfiando il proprio io mongolfiera e/o i propri interessi.
Per qualità intendiamo la maturità psicologica, etica e tecnico-pratica di una persona. Una persona matura – per quanto possibile – dovrebbe possedere il senso della misura e la coscienza dei propri limiti, al fine di evitare l’autoreferenzialità, la ricerca del potere in sé e per sé, l’accrescimento dei privilegi e dei profitti. Questa maturità è un dato dinamico, che si esprime nel modo di progettarsi e attuarsi nella quotidianità dell’esistenza, nelle tre dimensioni costitutive e nelle relazioni fondamentali. Chi raggiunge questo livello di eccellenza, in termini antropologici ed etici, rifugge l’idea di considerarsi perfetto. Parafrasando Socrate possiamo affermare che la persona è matura perché sa di non esserlo.
Come dire: un leader rivela la sua vera misura e serietà nel riconoscere umilmente di non possedere tutte le capacità per governare coerentemente con le finalità dell’istituzione ed il mandato affidatogli. Su questa linea ritorna il principio di Jung: il potere conserva la sua autenticità se si è capaci di condividerlo o di rinunciare ad esso. Su questa solida convinzione il leader, in termini pratici quanto etici, nomina persone con provate capacità tecniche ed etiche. Il leader cosciente delle sue qualità, della loro portata ed estensione, quanto dei suoi limiti, sentirà il bisogno di completarsi,collaborando con coloro che, in diversi modi e momenti, contribuiscono alla vita istituzionale con altrettante qualità umane, etiche e tecniche.
Sono in molti a lamentarsi, giustamente, di alcune nomine che riguardano aziende, settori della pubblica amministrazione, sindacati, scuola e università, comunità di credenti, partiti e istituzioni politiche perché si riscontra un crescente aumento di incapacità umane e professionali e di dubbie qualità etiche. Eppure, una classe dirigente (o pronta per essere tale), in piccola quantità ma con alte qualità, esiste nel nostro Paese. Spesso non raggiunge il potere perché chi comanda vive nell’invidia e nella corruzione, piegando le istituzioni ai propri ignobili fini.
Scriveva Eric Voegelin, riferendosi a tutte le istituzioni, laiche o religiose, piccole o grandi che fossero: “Un ordinamento sociale entra in una fase critica di decadenza, quando la partecipazione alla vita pubblica costringe gli uomini di integrità intellettuale e morale a degradarsi. La personalità dell’uomo non può essere offesa più gravemente di quando si nega ad uomini veramente dotati l’occasione di realizzare le loro doti nella società. Quando una società è corrotta così profondamente da consentire che i suoi più validi membri siano messi semplicemente da parte, si avrà, di conseguenza, a seconda del tipo di personalità, o il rifugio nella contemplazione o l’opposizione attiva fino alle distruzioni ed alla criminalità rivoluzionaria”.
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