Marco Ventura: "Non è solo colpa di internet se i credenti non partecipano più ai riti tradizionali"

In un’intervista al Professore Marco Ventura, docente di religione e comunicazione dell'ateneo senese, tratteggia gli approcci al religioso nell’era di internet, del mainstream e delle piattaforme e come cambia la pratica della religione al giorno d’oggi.

Marco Ventura: "Non è solo colpa di internet se i credenti non partecipano più ai riti tradizionali"
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7 Febbraio 2023 - 15.04


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di Irene Perli

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Il religioso e la religiosità rappresentano aspetti cruciali dell’esistenza umana. In un articolo pubblicato dal Professor Marco Ventura, egli spiega l’andamento delle tendenze contemporanee nella partica della religione cattolica in Italia. Avendo trovato l’articolo degno di nota, abbiamo deciso di rivolgere alcune domande al Prof. Ventura riguardanti la tendenza omogenea al progressivo abbandono della pratica cattolica in Italia.

Nel suo articolo pubblicato nell’approfondimento settimanale “La Lettura” de “Il Corriere della Sera”, lei cita alcuni dati Istat per i quali si comprende che, rispetto a venti anni fa, c’è una tendenza omogenea ad abbandonare il rituale della messa domenicale. Crede che questa tendenza sia dovuta al fatto che la modernità tecnologica stia sostituendo le interazioni vis-a-vis, trasportando la nostra socialità online?

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Come spiega in modo molto convincente Olivier Roy nel suo recente L’aplatissement du monde, viviamo un tempo di profonda trasformazione della cultura e dunque della socialità. Roy è un acuto osservatore del fenomeno religioso contemporaneo. La sua tesi della crisi della cultura nasce a monte dalla sua analisi dei mutamenti religiosi, ma contribuisce anche a valle a spiegare come stia cambiando la religione. Ciò vale anche per il declino della pratica religiosa tradizionale, su cui pesa certamente, come lei suggerisce, la migrazione della socialità verso l’online, ma su cui pesa ancor più radicalmente la crisi della socialità in quanto tale. In questo senso, proprio i dati ISTAT ci mostrano come il nucleo di praticanti religiosi assidui, ormai circa il 20%, si stia avvicinando quantitativamente al segmento di popolazione impegnato nel volontariato, che riguarda un po’ meno del 10% degli italiani.

Crede che un’innovazione nelle celebrazioni rituali domenicali potrebbe rappresentare una soluzione al fenomeno di questa disaffezione?

L’innovazione sembra funzionare quando esprime comunità coese ed esperienze di socialità efficaci. Può allora presentarsi come recupero della tradizione, ad esempio presso le comunità conservatrici che reinventano la messa in latino o il culto dei santi, oppure come sperimentazione tecnologica, accelerata dal passaggio online reso necessario durante la pandemia. Non mi pare tuttavia che l’innovazione in quanto tale sia decisiva. È decisivo piuttosto il contesto comunitario da cui scaturisce l’innovazione. In altre parole, l’innovazione sociale precede quella tecnologica.

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Uno dei temi affrontati è quello dell’analfabetismo religioso. Potrebbe spiegare se questo fenomeno può essere relazionato al fatto che la diminuzione della presenza in chiesa dei giovanissimi dipende dalle scelte dei genitori?

L’attitudine dei genitori è cambiata profondamente. Non soltanto perché sono anzitutto i genitori a non andare più a messa. Si è affermata nelle famiglie una cultura dell’autonomia del minore proprio mentre andava affermandosi una cultura della libertà della scelta religiosa. Forzare i giovanissimi alla pratica religiosa è diventato fortemente problematico. Fanno eccezione la popolazione immigrata da un lato e dall’altro genitori e famiglie con una socializzazione religiosa forte.

Tale assenza si verifica in modo meno consistente nel Mezzogiorno, particolarmente in Puglia e Sicilia. Crede che tale risultato derivi dalla scissione sempre presente tra nord e  sud?

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Persiste una certa differenza tra centro-nord meno “religioso” da una parte e mezzogiorno più “religioso” dall’altra. Il dato più significativo è però che la distanza si è consistentemente ridotta. Ciò vuol dire che negli ultimi vent’anni la pratica religiosa domenicale si è ridotta maggiormente nel mezzogiorno. Vale la stessa cosa per quanto riguarda la distanza tra uomini e donne, ancora più “religiose”, ma ora meno distanti dagli uomini di vent’anni fa.

Il confronto sempre più acceso tra cattolici progressisti e conservatori è divenuto una costante di questi anni. Crede che questa divisione possa incarnare la differenza fra fede cattolica e Chiesa come istituzione?

Progressisti e conservatori sono etichette di difficile applicazione al mondo religioso in generale e a quello cattolico in particolare. A meno che non ci si limiti a distinguere tra cattolici che votano per il centro-destra e cattolici che votano per il centro-sinistra. Operazione anche questa assai problematica. Anche la contrapposizione tra fede e istituzione rischia di riproporre una griglia di lettura vecchia, inadatta alla realtà di oggi. Basti pensare a quanto le nuove generazioni sono interessate alle regole della meditazione, alle preghiere giornaliere dei musulmani, alle prescrizioni vestimentarie e alimentari. Di cosa si parla qui? Di fede? Di istituzione? Oppure di stili di vita trasversali alle due dimensioni? E il successo di Papa Francesco a cosa si deve? Forse al suo essere al contempo nel ruolo istituzionale e fuori di esso, credente e governatore a seconda dei contesti e degli interlocutori?

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La diminuzione dell’affluenza alle celebrazioni domenicali è da rintracciarsi anche nella staticità del cattolicesimo che, a differenza di altre religioni (come ad esempio l’ebraismo progressivo), non si è saputo adattare alle nuove esigenze della modernità?

Non credo si possa dire che il cattolicesimo in generale si sia modernizzato meno di altre religioni. La modernità non ha risparmiato nessuno. Nessuno può sottrarsi alla storia. E tutti, anche le religioni, hanno fatto la modernità. Come ho detto prima a proposito di innovazione, proprio coloro che dall’interno della Chiesa cattolica si posizionano come difensori dell’identità e della tradizione possono essere considerati in un certo senso come i maggiori riformatori, in forza del modo in cui, sotto l’influenza della modernità, hanno reinventato la tradizione. Lo stesso islamismo radicale è frutto della modernizzazione dell’islam, anche se ciò viene negato dai suoi sostenitori e dai sostenitori della modernità. Naturalmente è frutto della modernità anche la religione democratica, liberale, amica delle donne e dei gay. Cioè quella a cui pensiamo d’istinto come religione modernizzata quando diamo alla modernizzazione un valore positivo e dunque quando colleghiamo implicitamente la religione che piace all’opinione pubblica liberal-democratica alla modernità che piace a quella stessa opinione pubblica. Sarebbe però un errore pensare alla modernità solo in quei termini e alla religione modernizzata solo in quel senso. Ripeto, anche i talebani sono il frutto dell’incontro tra religione e modernità.

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