di Giuseppe Aquaro
L’improvvisa e inattesa divisione del Movimento 5 stelle, e la successiva creazione di “Insieme per il Futuro” di Di Maio, ha destato molti dubbi sulle sorti di quel partito e sugli equilibri che questo evento può causare. Soprattutto tenendo conto che questa scissione è avvenuta in un partito di maggioranza che alle elezioni del 2018 aveva ottenuto oltre il 32 per cento dei voti.
Globalist Culture ha chiesto il parere a Luca Verzichelli, docente di Sistema Politico Italiano all’Università di Siena, che ha definito ciò che è avvenuto come “una scissione dalle caratteristiche mai viste nella storia politica repubblicana”. Ecco l’intervista.
Cosa comporta questa scissione nell’equilibrio della politica italiana?
Anche se in declino politico il Movimento 5 Stelle riflette ancora quella volontà di fare politica antagonista rispetto ai partiti tradizionali che è comunque stata il tratto di successo da 10 anni a questa parte. Ci sono vari punti da analizzare: sul piano parlamentare, abbiamo instabilità di maggioranza e anche perplessità sui temi immediati, come la questione della guerra in Ucraina; sul piano del governo, invece, non credo che la scissione sia lesiva nei confronti della vita del governo Draghi, che avrà continuità fino alla fine della legislatura, ma sulla sua capacità di deliberare in maniera spedita. C’è poi un terzo piano di incertezza riguardo ai gruppi parlamentari, che potrebbe aprire una situazione di incertezza continuata anche per i ripensamenti che sembrano essere frequenti tra scissionisti e “lealisti”.
Ci sarà un cambio di rotta nei consensi?
In assenza di un sondaggio di opinione dedicato al tema, possiamo solo fare delle ipotesi. Pare che il consenso di Di Maio rispecchi quello che si vede nei gruppi parlamentari: Oggi alla camera contiamo un centinaio di fedeli a Conte e 51 “di maiani”. Possiamo immaginare che il nuovo partito possa giungere grosso modo alla metà del consenso residuo del Movimento: Salvo nuovi scenari che si potranno vedere prima del voto del 2023: se dovessero i due attori far parte entrambi della coalizione del “campo largo” chiesto da Letta, entrambi si salverebbero. Se invece qualcuno dovesse andare da solo, e questo può essere il caso di Conte, l’attore con più voti ma più isolato, il rischio di rimanere fuori dal parlamento è elevato. Dobbiamo anche considerare che la percentuale ottenuta nel 2018 si è praticamente dimezzata ad oggi. E il rischio di un ulteriore calo rimane: sia Conte che Di Maio dovranno far chiarezza sulla loro posizione. Il primo deve dimostrare di aver gestito il partito nel migliore dei modi; il secondo deve spiegare la natura di questa operazione ritenuta da molti un’azione di palazzo, e non di rinnovamento. Sarà difficile per entrambi.
Che fine ha fatto la maggioranza che ha vinto nel 2018?
Dimezzata, come già detto. Probabilmente diffusa in tutti i versanti politici. I voti trasmigrati a destra sono andati alla Lega in un periodo appena successivo alle elezioni del 2018, e poi anche a Fratelli d’Italia. Probabilmente il consenso di destra del movimento rimarrà quello, mentre l’altra metà, circa 15 punti percentuali, è rimasta nel “campo largo” del centro-sinistra. Stiamo dunque parlando di un movimento che senza la scissione poteva rimanere il secondo o il terzo partito italiano. Ora, con due contendenti, la gestione dei consensi diventa più difficile e il gioco “difensivo” di Conte e Di Maio per giustificare il rispettivo operato può determinare nuove flessioni nei prossimi mesi.