Chi si ricorda dei referendum del 12 giugno? Di certo non Salvini

A meno di un mese dal voto dei cinque referendum sulla giustizia l'opinione pubblica sembra ignorarli completamente. A sostenerlo è anche uno studio dell'istituto Demopolis, secondo cui solo il 30% degli elettori si recherà alle urne.

Chi si ricorda dei referendum del 12 giugno? Di certo non Salvini
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16 Maggio 2022 - 11.28


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Di Agostino Forgione

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12 giugno. È questa la data fissata per il voto dei cinque referendum abrogativi, approvati a febbraio dalla Corte Costituzionale, per i quali gli italiani saranno chiamati a votare. I quesiti referendari sono cinque, e toccano l’organizzazione della magistratura, la revisione delle condizioni per le quali sia possibile richiedere la custodia cautelare e l’abolizione della legge Severino. Temi di una certa caratura e di grande importanza, in particolar modo i primi che, se dovessero venire approvati, scuoterebbero intimamente l’istituzione della Magistratura e le relative dinamiche. È per questo che abbiamo deciso di dedicare ampio spazio alla trattazione del tema, anche perchè i giovani potrebbero esserne i veri protagonisti.

Tuttavia, a infiammare veramente l’opinione pubblica, sono stati i due referendum, ritenuti in seguito inammissibili, riguardanti la legalizzazione dell’eutanasia e la depenalizzazione della coltivazione di cannabis. Quesiti referendari la cui raccolta firme aveva pure ottenuto numeri ben importanti, con 1,24 milioni di firmatari per il primo e 630mila per il secondo. Un traguardo assolutamente degno di nota, soprattutto considerando le 500mila firme necessarie alla proposizione di un referendum abrogativo e tenendo presente che, per quanto riguarda quello sulla cannabis, le firme sono state raccolte esclusivamente online.

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A leggere la sentenza della Corte Costituzionale le motivazioni che hanno portato a respingere il referendum sull’eutanasia riguardano le modifiche che avrebbe apportato all’articolo 579 ., quello relativo all’omicidio del consenziente, il quale non avrebbe più garantito i tre casi di “consenso invalido” di fronte a minori, persone inferme o affette da deficienza psichica o consenso estorto, permettendo di fatto «la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo». Secondo i costituzionalisti, così facendo, l’eutanasia non sarebbe stata garantita unicamente nei casi di persone in fin di vita o di condizioni invalidanti e irreversibili, privando il diritto alla vita delle tutele minime richieste dalla Costituzione.

Motivazioni analoghe sono tate espresse per quanto riguarda il quesito sull’autoproduzione di Cannabis: il testo, così come proposto, sarebbe andato in contrasto con le convenzioni internazionali e la disciplina europea in materia, mancando inoltre di chiarezza interna. In breve, l’eliminazione della parola “coltiva” dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti avrebbe concesso anche la coltivazione di piante psicotrope destinate alla produzione di droghe pesanti.
Bocciati i due referendum è calata l’attenzione dell’opinione pubblica verso gli altri quesiti. Sebbene manchi meno di un mese al voto, un esiguo spazio viene riservato alla comunicazione dei restanti cinque referendum , per lo più all’interno di trasmissioni in seconda serata o comunque adottando canali estremamente selettivi e settoriali. A conferma di ciò è il recente sondaggio dell’Istituto Demopolis, che sulla base di un campione di 1500 intervistati ha rilevato come solo il 30% degli aventi diritto al voto si recherà alle urne. Un risultato ben lontano del quorum del 50% necessario alla loro validità.
Un silenzio che, paradossalmente, è messo in atto proprio dai partiti promotori. A tacere, infatti, è innanzitutto il principale fautore dei referendum: Salvini. A un mese dal voto viene da chiedersi come mai il leader del Carroccio, propositore dei quesiti assieme ai Radicali, centellini più che parsimoniosamente i commenti verso i referendum e l’invito al voto. Un comportamento confermato dai profili social di Salvini: non ha pubblicato neppure un post sui referendum.

Un silenzio denunciato anche da uno storico leghista come Calderoli, che intervistato da “La Repubblica” afferma come tale comportamento sia un boicottaggio da parte della stampa e della sinistra su un voto che potrebbe sovvertire i rapporti di forza dentro i tribunali. «Oggi i partiti a doppia cifra non dicono nulla ma di fatto boicottano il referendum. È uno schifo» . Di parere differente è invece l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, che intervistato dall’AGI afferma «Se ne parla davvero poco, meglio non se ne parla proprio anche perché sono stati ‘fatti fuori’ i tre quesiti più popolari, quelli su fine vita, cannabis e responsabilità civile dei magistrati che avrebbero portato la gente a votare. Realisticamente mi pare davvero difficile che a spingere alle urne sia la voglia di pronunciarsi sull’abrogazione del decreto Severino o sulla riforma del Csm».

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Secondo il penalista, dunque, dietro tali reticenze non ci sarebbe alcun malevolo intento «Non credo che dietro ci sia un ‘disegno’ – commenta – le ragioni sono complesse: sicuramente il sistema dell’informazione sin qui non ha fatto abbastanza, e mi riferisco naturalmente in primis al servizio pubblico e radiotelevisivo, che ha il dovere di comunicare su certi temi. Ma non aiuta, anzi, nemmeno il modo in cui sono stati concepiti i quesiti: a noi, ad esempio, nessuno ha chiesto niente laddove invece avremmo potuto dare suggerimenti utili. Parlerei di una certa approssimazione dalla parte della politica».

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