di Margherita Malaspina
La gestazione per altri, definita e meglio conosciuta in maniera dispregiativa come “utero in affitto” o come “maternità surrogata” è il nuovo bersaglio da colpire della destra italiana. Iniziata formalmente nel 2018, la battaglia per estendere il reato di gestazione per altri è ricominciata, lo scorso novembre. Una settimana fa i sostenitori di questa tesi hanno potuto celebrare una prima vittoria: è stata adotta, infatti, la proposta di legge per rendere, questa pratica, un reato anche se commessa all’estero. Esiste già una legge, la legge 40/2004 che prevede per tale gesto un periodo di reclusione che va dai tre mesi ai due anni e una multa dai 600mila a un milione di euro per chiunque non solo dia vita ad un’iniziativa del genere, ma anche per chi la organizza o la pubblicizza in Italia; l’obbiettivo ora, invece, è renderlo reato universale.
Questa è solo una prima vittoria per i sostenitori di questa scelta, capeggiati dalla segretaria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, perché l’iter per l’approvazione è ancora lungo: deve essere ancora fissata una data per la presentazione degli emendamenti e solo in seguito si passerà al voto della Commissione e poi a quello della Camera e del Senato. Il confronto si presenta aspro in quanto questa ipotesi è condivisa dalla maggioranza dei partiti di centro-destra
Ma cosa pensano i giovani di questa soluzione? Attraverso le voci di un gruppo composto da studenti e non, abbiamo provato a raccogliere dei primi pareri riguardo la proposta di legge e riguardo la gestazione per altri. Il primo parere è quello di Alessia una studentessa di 21 anni che dice: «Non ritengo giusto estendere il divieto della gestazione per altri anche all’estero. In Italia il divieto esiste da tempo; chi ha intenzione di intraprendere questa strada lo fa, andando all’estero. Estendere il divieto è paragonabile ad una privazione fondamentale che è quella di esprimere la propria libertà ». Come lei la pensa Mattia: «Nessuno ha il potere di definire sbagliato ciò che viene fatto con una scelta consapevole e soprattutto con la libertà che contraddistingue o dovrebbe contraddistinguere il vivere in un paese civilizzato». E così si pronuncia anche Paolo: «Questa è una libertà da riservare alla donna in questione, rientra nelle libertà personali di un essere umano. Lo stato non può rientrare in un ambito così privato: si dispone del proprio corpo come si vuole. In contesti del genere è più utile che lo stato renda legale tale processo piuttosto che una persona sia obbligata a esprimere le proprie libertà all’estero.»
Ragionando con alcuni di questi studenti emergono altri interessanti elementi per comprendere meglio ciò che questa proposta può provocare. Ad esempio, urta con il principio di doppia discriminazione, secondo cui una condotta punita in Italia sarebbe perseguibile anche all’estero a condizione che sia punita anche dalla legge del paese straniero, e come sappiamo ci sono dei Paesi che hanno legalizzato e regolarizzato la gestazione per altri, come l’Ucraina, il Canada, la Georgia o ancora alcuni stati degli Stati Uniti, oltre ad altri Paesi dove la legge è autorizzata ma solo nella forma “altruistica”, ovvero senza un compenso economico.
«Si tende a portare avanti un’ideologia basata sulla famiglia cosiddetta “tradizionale” » ci dice, per concludere, Mattia. I toni si inaspriscono. Come nella descrizione che ci offre Rossana: «Il nostro stato bigotto professa la sua divisione dalla Chiesa, e anche se questo non penso sia l’obbiettivo della destra -quello di tutelarla- si cerca sempre con le proprie leggi di ricordare agli italiani che condividono il proprio suolo con la sede papale, con il massimo rappresentante della chiesa sulla terra; quindi definire reato poter mettere al mondo una vita lo definisco eccessivo, renderlo universale mi sembra ancora di più un inutile esagerazione ».
Un parere completamente opposto lo raccogliamo da Ludovica, una giovane mamma: «Sarò anche antica ma non mi piace questo “scambio”. Mi dispiace per chi non può avere figli ma il solo pensiero di portare un bambino in grembo per nove mesi per poi lasciarlo andare, forse perché l’ho vissuto sulla mia pelle, mi sembra del tutto innaturale: non si può ridurre tutto ad un semplice contratto, non condivido assolutamente questa pratica. Quindi purtroppo mi sento di esprimermi a favore>>. Francesca, pur non condividendo questa pratica, ci dice che «farlo in cambio di soldi mi sembra ridurre il tutto ad una semplice merce. Non adotterei mai questa pratica né sarei disposta a donare quel corpo che è cresciuto dentro di me a degli sconosciuti, ma non condannerei chi lo fa né lo definirei addirittura un reato.»
Su tutt’altra linea si definiscono i pensieri di altri intervistati, a partire da Giorgio che così si esprime: «Reputerei legittima la maternità surrogata ma ritengo che sia opportuno regolarla. A mio parere non reputo corretto non garantire un compenso economico a chi porta avanti la gestazione, come accade all’estero in alcuni paesi in cui è legale, oltre a ritenere che il ricorso alla maternità surrogata debba essere garantito solo in determinate condizioni». Paolo ci dice «è sbagliato rendere la gestazione legale senza che la donna riceva in cambio un compenso, dal momento in cui per nove mesi ha messo il suo corpo a disposizione dell’altro». Giulio aggiunge: «Non penso sia una legge a tutela della donna: come accaduto nei secoli scorsi con l’aborto se lo stato non ne permette la legalità e lo tutela con delle leggi, implicitamente spinge gli altri a ricorrere all’illegalità» .
Le persone che abbiamo intervistato hanno un’età che va dai 20 ai 30 anni. Abbiamo compreso che i giovani amano la libertà; che amano poter decidere e non lasciare agli altri la decisione su cosa fare con il proprio corpo. Beatrice lo sintetizza bene quando afferma di sperare di vedere, un giorno, la gestazione per altri non un reato universale, bensì una pratica legale: «La maternità surrogata è forse l’atto più altruistico che possa essere compiuto nei confronti di un’altra persona: creare la vita per dare vita ad una nuova famiglia».
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