È inevitabile, ogni anno, che il ricordo e la celebrazione della Liberazione vengano influenzati dagli avvenimenti correnti, soprattutto quando si tratta di eventi importanti, come sono stati la pandemia nei due anni passati e la guerra in questo presente. Sulla resistenza in Ucraina (se si può chiamare così, se è una vera Resistenza, se è simile o diversa da quella italiana ed europea dei primi anni ’40 del secolo scorso; e inoltre, se è lecito e doveroso, o pericoloso e sbagliato aiutarla con le armi occidentali) si sono avute e si continuano avere posizioni diverse e spesso contrapposte proprio tra chi festeggia insieme la data della Liberazione il 25 aprile.
Cosa ricordiamo, con quella data? Una lotta, una dura e difficile battaglia compiuta da una minoranza del paese. Proviamo a quantificare: i combattenti armati sono stati, nel loro massimo momento finale, tra 150 e 200 mila; la popolazione che ha partecipato in qualche modo alla Resistenza si potrebbe calcolare in due-tre milioni. Una minoranza, quindi, ma una minoranza che ha saputo modificare nel tempo il punto di vista della stragrande maggioranza degli italiani, se è vero che nelle elezioni del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente i partiti antifascisti hanno ottenuto l’85% dei voti.
La base unitaria di chi ha fatto la Resistenza è stata la volontà di cacciare l’esercito di occupazione nazista (e le forze subalterne del fascismo rinato a Salò) e di conquistare la libertà dopo oltre cent’anni di totalitarismo fascista. Ma all’interno dei partigiani erano presenti posizioni diverse: di chi aspirava a trasformare la resistenza in una rivoluzione, di chi voleva una democrazia radicale, di chi voleva restaurare il liberalismo monarchico prefascista, di chi voleva una presenza politica nuova dei cattolici, e così via. Se leggiamo con attenzione le ultime lettere dei condannati a morte durante la Resistenza (uno dei libri più sinceri e attuali, più volte ripubblicato) vediamo che quasi tutti parlano di libertà e di patria, che sono gli ideali per cui il sacrificio della vita sembra essere stato giusto e necessario.
Nel corso della Resistenza vi sono state modalità di partecipazione alla lotta molto diverse fra loro. Anche se soprattutto nell’immediato dopoguerra ha prevalso l’equiparazione tra resistenza e partigiani, le forme dell’azione condotta per contrastare il nazifascismo sono state numerose: gli studi storici, i documenti di archivio e soprattutto le testimonianze e le memorie di chi ha vissuto quegli anni, hanno permesso di giungere alla conclusione di una Resistenza plurale, capace di muoversi su direttive molteplici, con obiettivi differenti e strategie diverse, anche se orientate unitariamente alla riconquista della libertà e alla cacciata dell’invasore.
È questa Resistenza, al tempo stesso unitaria – anche se l’unità è stata raggiunta con fatica e solo alla vigilia dell’insurrezione finale – e molteplice, che dobbiamo avere in mente: anche quando pensiamo a ciò che accade oggi e al modo in cui possiamo declinare il nostro antifascismo e amore per la libertà e la democrazia rispetto agli eventi correnti. Unità vuol dire, in poche parole, che ci sono inevitabilmente posizioni diverse, ma che esse devono trovare un momento di collaborazione ai fini dell’obiettivo ultimo e più importante: e che ogni tipo di azione e di lotta, se condotto in modo coerente, con dedizione e passione, può dare risultati positivi. È l’insieme delle tante resistenze che ha permesso alla Resistenza di avere avuto, non solo nell’immediato, ma nella più lunga storia italiana, il ruolo che essa ha avuto e che continua a rappresentare per tutti quelli che amano la libertà.