Il thriller con Julia Roberts “Homecoming” e la mini-serie tratta dalla rubrica del New York Times “Modern Love”

Dal creatore di “Mr. Robot”, “Homecoming” riporta tecniche cinematografiche del vecchio genere thriller e un cast stellare. “Moder Love” racconta le storie d’amore dei lettori dell’omonima rubrica newyorkese

Il thriller con Julia Roberts “Homecoming” e la mini-serie tratta dalla rubrica del New York Times “Modern Love”
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Vittoria Maggini Modifica articolo

11 Marzo 2022 - 14.33


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Da premettere che, dopo aver finito la serie Rai “L’amica geniale”, tratta dai romanzi di Elena Ferrante, sarà difficile trovare una serie che mi entusiasmi in egual misura. 

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Vorrei però proporvi alcuni prodotti di cui non ho avuto ancora occasione di parlare.

“Homecoming” è la commistione tra il vecchio e il nuovo genere thriller

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“Homecoming” è una serie televisiva statunitense che ha debuttato su Prime Video nel 2018 e che salta subito all’occhio sia per il cast stellare, che comprende Julia Roberts, Bobby Cannavale, Dermont Mulroney e Shea Whigham, sia per il creatore e regista della serie, Sam Esmail, già show-runner della celebratissima serie con Rami Malek “Mr Robot”.

La serie è un thriller adattato liberamente dal podcast omonimo di Eli Horowitz e Micah Bloomberg. Heidi Bergman (Julia Roberts) è la psicologa presso il centro di supporto Homecoming, il cui scopo è aiutare i veterani, di ritorno dalla guerra, a riadattarsi alla vita civile e a superare i propri disturbi post trauma. Heidi segue gli ordini del suo capo, Colin Belfast (Bobby Cannavale), direttore esterno della struttura con il quale si sente solo per telefono. 

La narrazione del passato, che corrisponde ai giorni nostri, viene continuamente interrotta da quella del futuro, il 2022, in cui Heidi ha cambiato improvvisamente lavoro e vita, senza ricordarne il motivo. 

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Il racconto è molto particolare, punta meno sulla sceneggiatura e di più sulla regia. Inquadrature, suoni, silenzi, contribuiscono ad aumentare nello spettatore un senso di paranoia ed inquietudine che pochi prodotti filmici sono in grado di far scaturire. Sono numerosi i momenti di indubbia matrice surreale, in un continuo gioco di contraddizioni il cui scopo è far calare il pubblico nello stesso smarrimento dei protagonisti. Sam Esmail è stato un maestro in questo.

Fondamentali sono i richiami hitchockiani delle inquadrature. Inoltre, tratto curioso e distintivo, è che alle due linee temporali corrispondono due inquadrature diverse: quella del passato è presentata in widescreen, il presente (2022) mostra invece una disturbante e ridotta inquadratura 1:1, colori sbiaditi per un effetto quasi vintage. 

Benché sia sicuramente un prodotto di estrema qualità tecnica, non mi è piaciuto. Cosa non ha funzionato? C’è tanta attenzione ai dettagli stilistici quanto poca alla narrazione di per sé. La trama scorre lenta, si preoccupa poco del mistero e molto più delle dinamiche tra i personaggi, senza raggiungere mai un vero climax. Lo consiglierei agli appassionati di storia del cinema, in particolare del thriller “sofisticato”. 

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“Modern Love” è la serie che racconta l’amore e le sue sfumature senza cadere in luoghi comuni

“Modern Love” è una serie statunitense che potete trovare su Prime Video. Ciascuno degli 8 episodi racconta una storia d’amore, declinata in forme diverse. Si avvale di una lista di attori e attrici riconoscibilissimi, tra cui Anne Hathaway, Tina Fey, Dev Patel, John Slattery, Catherine Keener, Andy García, Cristin Milioti, Andrew Scott, Sofia Boutella e la pop star Ed Sheeran.

La particolarità che rende questa serie non banale è che ciascuna storia raccontata è vera: infatti, “Modern Love” è una rubrica settimanale del New York Times in cui vengono pubblicate le storie d’amore che i lettori hanno deciso di condividere. 

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Ho apprezzato questa serie per due motivi: primo, è genuina, racconta storie vere, senza cadere nel kitsch tipico della filmografia, soprattutto quella hollywoodiana. Secondo, e forse più importante: è inclusiva, e non mi riferisco solo al gender, all’età, al colore della pelle. È inclusiva perché racconta l’amore universale, declinato in tante forme, non solo quello passionale. 

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