Filippo Tommaso Marinetti e il “Manifesto del Futurismo”. In carrozza signori! Salite e mettetevi comodi. Non sul divano di casa come ci chiede oggi il solerte calciocronista di una delle Paytv, ma su un invitante fiacre, nella Ville Lumiere di inizio Novecento. È il 20 febbraio del 1909, siamo nel pieno de “La Belle Epoque” e mentre i cavalli tambureggiano con gli zoccoli sul pavé di Rue Bonaparte, tiriamo fuori “Le Figaro” e con sorpresa troviamo in prima pagina e per intero gli undici punti del “Manifeste du Futurisme” del poeta, drammaturgo italiano Marinetti.
Che importa se pare che la prima pagina del giornale fosse stata guadagnata dal corteggiamento della figlia di un azionista proprietario del Le Figaro, da parte del fascinoso creativo! Questo fu il primo terremoto nella storia delle arti, che dette sfogo, speranze e aspettative a energie giovanili facendo da arena a quella novità che era la contestazione giovanile. Dalla cassa di risonanza del più grande giornale parigino, Marinetti e i suoi giovani accoliti urlarono il loro giovanilismo anarcoide e rivoluzionario, che pur con molte incoerenze e contraddizioni, fu sapientemente sparato al mondo
“È un movimento anticulturale, antifilosofico, di idee, di intuiti, di istinti, di schiaffi, pugni purificatori e velocizzatori. – spiegava Marinetti – I futuristi combattono la prudenza diplomatica, il tradizionalismo, il neutralismo, i musei, il culto del libro”. Un programma sbattuto in faccia alla borghesia conservatrice prendendosi gioco di chi stava alla finestra senza mai scendere in piazza mentre loro, i futuristi, erano sempre in prima linea per scandalizzare il manierismo cortigiano, provocare rumore assordante comunque e dovunque. Niente doveva accadere in sordina, anche il teatro “sintetico” futurista suscitava clamore, si sperimentavano testi che coinvolgessero gli spettatori con provocazioni azzardate, discorsi incendiari, che spesso finivano in risse e non mancavano denunce e interventi delle forze dell’ordine.
Tutto serviva per far parlare, discutere e guadagnare spazio in prima pagina. Si mirava ad arrivare al cuore di chi era stufo di aspettare, nessun strato della società si trascurava, dal sociale al culturale, facendo uso spregiudicato di tutte le tecniche propagandistiche esistenti: giornali, riviste, case editrici, volantini, radio e, anche se marginalmente, il cinema che stava muovendo i primi passi. Il mezzo più caratteristico dei Futuristi fu però il “manifesto”, usato per tutte le comunicazioni culturali massive e anche per le campagne pubblicitarie.
Se l’ideologo fu Marinetti, il movimento ebbe padri fondatori nella pittura e scultura come Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini; nell’architettura con Antonio Sant’Elia; nella cartellonistica e pubblicità Giorgio Muggiani, (nel 1908 aveva disegnato il logo dell’Inter del quale è stato anche uno dei fondatori n.d.r.), Marcello Dudovich e, in seguito, Fortunato Depero. Nella poesia Paolo Buzzi e il primo Aldo Palazzeschi de “L’incendiario”.
Marinetti non rinunciò nemmeno al tentativo di dare un’impronta politica al Futurismo. Nel 1913 a Firenze nasceva la rivista Lacerba per iniziativa degli ex “vociani” Ardengo Soffici e Giovanni Papini e anch’essa, almeno in parte, fece da cassa di risonanza al Futurismo. Fu qui che Marinetti indicò i primi obiettivi social proletari con voto a suffragio universale per uomini e donne e tanto anticlericalismo. Idee che avrebbe ripreso con più forza finita la guerra, nel biennio rosso 1919-1920, tentando la costruzione di un partito politico futurista. Non è casuale, infatti, che anche Antonio Gramsci ebbe occhio benevolo per il movimento: “I futuristi hanno svolto questo compito nella cultura borghese: hanno distrutto, distrutto, distrutto; hanno avuto la concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neppure lontanamente di simile questione”.
Il fascismo però catturò Marinetti poiché si riconobbe nell’iniziale muscolare programma social nazionalista dei Fasci di Combattimento di Mussolini ma dopo il congresso fascista del 1920 rinunciò alla politica. Pur credente, Marinetti era, oltre che anticlericale, avversario della monarchia con una visione rivoluzionaria troppo utopica per il pragmatismo mussoliniano che puntava invece alla rivoluzione possibile. Marinetti non partecipò alla marcia su Roma ma dalla redazione del “Popolo d’Italia” restò dalla parte di Mussolini con quasi tutti i futuristi scampati alla guerra.
Uscito definitivamente dalla politica, Marinetti, pensò alla diffusione del Futurismo in Italia e all’estero, ma restò ancora un ascoltato amico di un Mussolini che non voleva perdere i vantaggi del prestigio internazionale del fondatore del Futurismo. Lo volle membro dell’Accademia d’Italia, appena inaugurata nel 1929, ma la spinta innovatrice e modernista del movimento era, però, già disattivata dal regime che stava integrando ogni diversità nell’univocità della “cultura fascista”. Malato gravemente di cuore e reduce dalla campagna di Russia morì in un albergo di Bellagio il 2 dicembre del 1944, a 66 anni, prima che l’ambasciatore giapponese presso la Repubblica di Salò, Shinokuro Hidaka, l’aiutasse al trasferimento in una clinica svizzera per la cura.