di Giovanni Manetti
È sicuramente esplosiva la notizia di questi giorni, lanciata con maggiore o minore evidenza da tutti i media – nessuno escluso – di una nuova e ulteriore sanzione al colosso dell’e-commerce di Jeff Bezos, Amazon. Notizia che potrebbe avere ripercussioni sulla reputazione complessiva dell’azienda americana e di conseguenza sulla credibilità accordatale dai consumatori.
Questa volta è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana, presieduta dal docente universitario e magistrato Roberto Rustichelli, che ha sanzionato Amazon per “abuso di posizione dominate” (violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). In effetti all’azienda viene imputata una posizione di predominanza nei servizi di intermediazione sul marketplace, che si è tradotta nell’imposizione da parte di Amazon del proprio servizio di logistica presso i venditori attivi sulla piattaforma dell’e-commerce, a tutto svantaggio degli operatori concorrenti. E la multa è piuttosto salata: 1,1 miliardi di euro. Inoltre l’Autorità, al fine di ripristinare le condizioni di leale concorrenza nei mercati rilevanti del commercio elettronico, ha imposto ad Amazon misure di controllo che saranno sottoposte al vaglio di un “monitoring trustee”.
Ma questo è solo l’ultimo dei guai (per così dire) dell’azienda statunitense.
Poco tempo fa, a fine novembre, l’Antitrust aveva sanzionato con una multa complessiva di 200 milioni un’intesa stabilitasi tra Amazon e Apple, sempre ai danni della concorrenza, perché non era stato permesso a tutti i rivenditori legittimi di prodotti Apple di operare sulla piattaforma del colosso dell’e-commerce, in cui viene portato a termine il 70% degli acquisti online di prodotti elettronici di ampio consumo. Ma non è ancora tutto. Nel 2017 la Commissione UE aveva inflitto ad Amazon una multa di 250 milioni di euro per gli accordi fiscali con il Lussemburgo.
Di fronte a questi eventi, ed ai probabili danni di immagine da essi provocati, l’azienda non ha perso tempo, e già nel corso di questo anno aveva intrapreso una campagna pubblicitaria da diffondersi tramite il medium televisivo, impostata sulla tecnica dello storytelling. Quest’ultimo, come è noto, consiste nell’arte di raccontare storie – per lo più, come in questo caso, inventate– al fine di creare ed ammobiliare il mondo possibile dell’immagine aziendale, immagine nella quale lo spettatore-cliente potenziale possa immedesimarsi. Le storie hanno inoltre il potere di coinvolgere in un modo più diretto i destinatari, stimolando un atteggiamento di empatia che porta a concedere la loro fiducia all’emittente del messaggio.
L’impostazione a cui rispondono gli spot della campagna è quella di portare i potenziali clienti dietro le quinte dei magazzini ad incontrare alcuni degli operatori che non parlano dei prodotti, ma della loro esperienza personale con l’azienda. Il primo di questi spot, che è andato in onda a partire da ottobre, è quello che ha come protagonista-narratore un giovane nordafricano, Mohamed, presentato nelle note aziendali come un operatore di magazzino a Pomezia (Roma), integrato con la nostra cultura tanto da parlare in maniera corrente l’italiano, sebbene con accento e con alcune imperfezioni grammaticali – volute certamente dagli ideatori per creare un effetto di realtà e di autenticità.
Mentre viene ripreso nello svolgimento delle sue mansioni di dipendente aziendale, il ragazzo enuncia subito all’inizio della narrazione della sua storia, la propria filosofia: “Mi chiamo Mohamed. La mia frase preferita è ‘hustle hard’, che è un modo per dire di continuare sempre a lottare”. Ma in cosa consiste la sua lotta? Quali sono i suoi nemici? Principalmente due. Il primo è la povertà, o il suo spettro. Infatti il ragazzo dichiara che con il suo lavoro riesce ad aiutare economicamente i suoi genitori. Il secondo è la disabilità di una sorella più piccola. È interessante che a questo punto la sequenza delle scene in movimento si interrompa per lasciare spazio a delle immagini fisse, come se la disabilità non potesse essere mostrata se non con delle fotografie e con la loro maggiore carica simbolica. Due potenti leve emotive, dunque: la sollecitudine e il contributo nei confronti delle condizioni di indigenza della famiglia e la cura verso una persona con endikap.
Ma non ci sono solo vantaggi, per così dire, “riparativi” nel lavoro di Mohamed, che rischiano di apparire un po’ freddi, ma ce ne sono anche di affettivi. Il ragazzo dichiara di aver trovato nell’azienda “una famiglia”, i cui componenti, gli operatori della sua stessa squadra, nei momenti di relax mettono delle canzoni in modo da vederlo ballare come rapper. Ma in verità in Amazon sembra che non ce ne siano molti di momenti di relax, a giudicare dagli scioperi che soprattutto negli Stai Uniti, e comunque anche in molti altri paesi, ci sono stati per protestare contro i turni massacranti imposti dall’azienda, oltre che per richiedere un trattamento economico più equo dei 15 dollari (lordi, si badi bene) all’ora accordati ai dipendenti.