di Lavinia Beni
Sette erano i peccati capitali dell’universo dantesco, luogo ideato più di settecento anni fa e conosciuto in tutto il mondo soprattutto per i suoi famosi dannati. I tempi cambiano, le modalità per peccare pure, ma l’animo maligno non è mutato e tantomeno si è innalzato. Gli uomini e le donne di oggi, inseriti in una realtà digitale e assuefatti da questa, hanno imparato a sfruttare la rete per i loro interessi subdoli e malevoli. Ecco che l’Inferno di Dante si trasporta all’interno di internet, con l’unica differenza, significativa e paradossale, che i veri dannati della rete non sono i peccatori ma le vittime. Non esiste nessun contrappasso per gli oppressori, esiste solamente il dolore e la vergogna subiti dagli oppressi. E non esiste in noi l’idea apocalittica che l’intero universo della Rete sia identificabile con l’inferno.
Da quando il web dinamico, il cosiddetto web 2.0, ha iniziato ad affermarsi agli inizi degli anni 2000, oltre a tutti i benefici e alle opportunità offerte dal nuovo sistema, si sono create anche occasioni per macchiarsi di colpe. Tre, in particolare, i nuovi mali: cyberbullismo, hate speech e fake news. Il web dinamico, ovvero la possibilità da parte di qualsiasi utente di poter condividere informazioni e giudizi soprattutto attraverso gli usatissimi social network, ha innescato una dinamica positiva (la possibilità allargare i contatti o di aiutarci a superare la terribile stagione dell’isolamento pandemico) e un’altra dinamica molto pericolosa: un movimento che oscilla tra la libertà propria e il rispetto dell’altrui persona. Non è necessario, infatti, possedere qualifiche per poter condividere contenuti e il passo per arrivare a commettere atti maligni e reati informatici è molto breve.
La definizione di cyberbullismo è stata ufficializzata pochi anni fa da una legge numero dello Stato ( la numero 71 del 29 maggio 2017). La legge prevede la tutela delle vittime e interventi concreti rispetto ai responsabili. Come si può notare dalla data della legge, le misure di contenimento sono recenti. Per tanti anni il fenomeno è stato trascurato: non è facile confrontarsi con problemi che coinvolgono i minori. Ci sono voluti interventi e concrete azioni come quelle messe in atto in molte regioni dai Corecom, o da università come la nostra, perché si arrivasse a distinguere il bullismo tradizionale, che pure continua a manifestarsi in forme anche violente, dalla forma specifica del cyberbullismo. Si è dovuto studiare gli incredibili effetti della violenza trasportata negli ambienti digitali. Accade spesso che le piccole vittime tacciano; può succedere perché hanno paura, perché non consci del problema oppure perché il fenomeno non viene riconosciuto dai più grandi.
Per quanto riguarda l’ hate speech (in italiano “discorso d’odio” verso una persona o un gruppo di persone) non esiste una vera e propria legge che limiti in modo decisivo questo modo di offendere attraverso internet. Da qualche tempo la Polizia postale sta cercando di limitarne gli effetti. E’ già da qualche tempo che i social network hanno elaborato sistemi che cercano di contenere l’incitamento all’odio ma il più delle volte con scarsi effetti. Questo male, tuttavia, è infimo e insidioso. I giovani che discriminano spesso non percepiscono che cosa può scatenare un loro commento pubblicato; prendono troppo alla leggera qualcosa che, alla fine, è molto facile da fare. In fondo basta un solo click, tanto, comunque vada, c’è uno schermo che li separa dalla realtà. Ma non sono solo i giovani. Messaggi d’odio e un linguaggio violento sono propri anche di alcuni adulti. Prendiamo la feroce polemica scatenata dai No Vax contro coloro che hanno deciso di vaccinarsi. La discussione si è fatta sempre più feroce e un flusso incontrollato di persone hanno iniziato una vera e propria campagna discriminatoria da entrambe le parti.
Il terzo vizio, peccato sia “professionale” che “amatoriale”, è la fake news, la notizia bufala. Un fenomeno da tenere severamente d’occhio, in quanto la creazione e la condivisione di informazioni false o inesatte portano una confusione individuale e sociale. Purtroppo non facile limitare questo vizio, anche se sono nati svariati portali negli ultimi anni in grado di dar caccia alle bufale. Monitoraggi dell’informazione, ad esempio, sono Fact-checking di Open, il giornale online di Enrico Mentana oppure Bufale.net, un servizio che ha come missione quello di far leggere responsabilmente. La criticità di lettura tende a mancare nella nostra società fin troppo sicura di sé. Pullula l’eccessiva presunzione di sapere e la condivisione semplicistica e irresponsabile di contenuti. Sebbene sia qualcosa d’istintivo e immediato, sarebbe bene che ci fermassimo quando stiamo per pubblicare una notizia di cui abbiamo letto solo il titolo. Per una società migliore occorre una versione più responsabilizzata di noi stessi.