In tempi di Covid, c’è un “mostro” che tutti hanno dimenticato

I malati di tumore stanno pagando a caro prezzo la pandemia. Ricordiamo la storia di Matthew Teague, il giornalista che ha raccontato la verità di chi lotta contro il cancro

In tempi di Covid, c’è un “mostro” che tutti hanno dimenticato
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14 Maggio 2021 - 14.50


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di Vittoria Maggini

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Da quando c’è il Covid il resto delle malattie sono state spazzate via dalla faccia della terra? E’ quello che è successo. Invece sono ancora tutte lì. E una su tutte, il “brutto male” per eccellenza: Il cancro. Non se ne è mai andato via, eppure molti si sono dimenticati dei malati di tumori, presi dal fermento della pandemia. Nei giorni scorsi Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), si è appellato alle istituzioni affinché i livelli di assistenza oncologica precedenti al diffondersi dell’epidemia vengano con estrema urgenza ripristinati, «I pazienti oncologici non possono più aspettare, non esiste solo il Covid. Il cancro è diventata un’emergenza nell’emergenza». 
Allarmanti sono i dati riportati da un’indagine dell’IQVIA svolta nell’ultimo anno. “Nel 2020 il Covid ha avuto un impatto significativo sul numero di nuove diagnosi e trattamenti, oltre che sulle richieste di visite specialistiche ed esami, con 613mila nuove diagnosi in meno (-13%) e 35mila nuovi trattamenti in meno (-10%), con un calo drastico degli invii allo specialista (-31%, ovvero ben 2 milioni 230mila visite) e delle richieste di esami (-23%, cioè 2 milioni 860mila)”, come riportato dal Corriere.it  «La pandemia ha avuto forti ripercussioni negative sulla cura del cancro interrompendo azioni di prevenzione, trattamenti e follow up, ritardando diagnosi e vaccinazioni e incidendo sull’accesso ai farmaci e provocando decessi» ha detto De Lorenzo. 

E se da un lato i malati di tumore sembrano essere lasciati a loro stessi, è fondamentale ricordare che la loro battaglia deve rimanere una priorità e sensibilizzare sul “mostro”.

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Alcune storie sono così potenti che lasciano il segno. Una di queste per me è quella di Matthew Teague, giornalista che in passato ha girato il mondo come corrispondente per National Geographic, Vanity Fair, The Atlantic e altri importanti giornali. In quanto giornalista vive scrivendo storie: di persone, città, politica internazionale. Ma la storia che veramente ha cambiato la sua vita si è svolta all’interno di casa sua, nella piccola città di Fairhope, in Alabama, e lui, nel 2015, ha deciso di raccontarla in un articolo su “Esquire” dal titolo “The Friend”, successivamente pluripremiato e da cui è ispirato l’omonimo film del 2019 in streaming su Amazon. 

Nel 2012 alla moglie di Matthew, Nicole, è stato diagnosticato un cancro alle ovaie all’età di 34 anni, dopo più di 13 anni di matrimonio e due figlie. Dopo la notizia, il migliore amico della coppia, Dane Faucheux, venne a trovarli. Doveva ripartire subito dopo, ma con l’aggravarsi della malattia di Nicole, decise di rimanere ad aiutare i due amici, rimanendo con loro prima per mesi, e poi per quasi due anni, assumendo il ruolo di governante, babysitter, infermiere e custode per aiutarli a cavarsela. Dane si era lasciato la sua vita, il suo lavoro, la sua ragazza alle spalle per stare con Matthew, Nicole e le loro figlie, testimone degli orrori che il cancro porta con sé. 
Quando Nicole è morta, Matthew ha sentito l’esigenza di fare ciò che sapeva fare meglio: scrivere. 
Cosa c’è di più complicato e di più vero, anche per il miglior giornalista della terra, che scrivere. Così pubblica “The Friend”, testimonianza di vita, dedicato alla moglie e soprattutto, a Dane. La commistione perfetta tra verità e apparenza, amore e sofferenza, vita e morte. Ciò che semplicemente si chiama vita. “Lo shock della mortalità. Il collasso di un uomo. E il rifiuto di un altro uomo di lasciarlo accadere”.

Spesso ci immaginiamo la morte come un avvenimento circoscritto, che avviene in momenti precisi, in pochi minuti, ore al massimo. Viviamo il concetto di morte basandoci su ciò che ci viene propinato da cinema e televisione. Quando viene fatta la diagnosi ad un malato terminale di cancro, gli ultimi mesi di vita vengono dipinti come quelli più intensi, in cui si cerca di vivere la vita a pieno. È il tempo della famosa “lista delle cose che voglio fare prima di morire”. Insomma, si cerca di godersi il presente, per quanto possibile. Tutti parlano della sofferenza del giorno del giudizio e dell’assenza del “dopo”, nessuno parla di ciò che accade prima, dei mesi, a volte anni, di malattia. Quella è la vera sfida, non solo per il malato, ma soprattutto per chi, poi, resta.  Per questo la storia di Matthew Teague è tanto importante. 

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Non diciamo a noi stessi la verità sulla morte, come popolo. Non sulla morte vera. La morte vera, abituale e quotidiana, è così dura e brutta che diventa la cosa peggiore di tutte: grottesca. È vergognoso. Nessuno mi ha mai detto la verità al riguardo, nemmeno una volta. Quando è successo alla mia amata, ho perso l’equilibrio in ogni modo.

Certo, perché nei film evergreen che parlano di storie d’amore impossibili a causa della malattia di uno dei due, la malattia fa solo da sfondo. Diventa protagonista solo verso la fine, quando il malato muore. La verità è molto più ignobile e cruda. Per ogni giorno buono, in cui l’energia e la voglia di vivere vincono sul dolore, ci sono giorni cattivi, in cui il cancro prende il sopravvento. Il corpo si indebolisce, le perdite di peso sono evidenti, i lividi delle flebo, il gonfiore alle gambe per i giorni a letto, il cibo che oramai non riesce ad essere digerito. Ma soprattutto la perdita di coscienza. Non solo il corpo si spegne lentamente davanti ai nostri occhi, ma la mente comincia a giocare brutti scherzi. Amnesie, parole confuse, vedere cose e persone che non ci sono, sono tutti segnali di una vita che, lentamente, si sta spegnendo. Allora sì, che le frasi dei film “cosa darei per avere anche solo un giorno in più con quella persona” si rivelano superflue. Quando si assiste a tanta sofferenza, non c’è “giorno in più” che tenga, ma solo la speranza che, invece, quell’incubo finisca al più presto, e che la persona che si ama possa finalmente riposare. 
Dopo la morte di Nicole, Teague racconta: “Il dolore mi ha svuotato e me lo aspettavo. Ma sotto di esso ho anche provato un profondo senso di sollievo, e persino di gioia. Per la prima volta in due anni, ho sentito la speranza. L’ho tenuto segreto, però. Le persone mi fermavano per strada per esprimere il loro dolore, e io mi ritrovavo a chinarmi per abbinare il loro tono emotivo. La verità era che, dopo due anni di sofferenza, Nicole finalmente non provava più dolore. Dopo due anni di orrore, le ragazze e io ci sentivamo come se fossimo sfuggiti a qualcosa.” 

Il cancro è un mostro silenzioso, subdolo, che non rende giustizia alla vita. L’unica arma contro esso, e Matthew Teague lo ha capito grazie all’amico Dane, è l’amore, sostenersi senza chiedere in cambio nulla. Difficile da fare in un mondo individualista, ma non impossibile, e questa storia ce lo insegna: “È stata una morte di routine in tutti i sensi. Era normale. Comune. L’unico elemento notevole era Dane. Mi ero sposato in questa situazione, ma come era arrivato lì? L’amore non è una parola abbastanza grande. Si è alzato e ha affrontato la realtà della morte per amor mio. Lui è il mio amico.
È bello scoprire che, in questo flusso di informazioni incontrollabile, ci sono articoli come questo, unico non per aver fatto notizia, ma perché ci ricorda che, prima di tutto, siamo umani. In un anno in cui le notizie sembrano essere monotematiche, è importante non lasciare indietro le altre realtà, fatte di guerrieri come Matthew, Dane  e, soprattutto, Nicole. 
Alla fine, cosa sono i giornalisti (o gli aspiranti tali, nel mio caso), se non cantori di storie? E quale storia migliore da raccontare, se non la vita?

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Clicca qui per leggere l’articolo di Matthew Teague “The Friend”

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