di Manuela Ballo
E’ una triste domenica fuori dal tempo. Bloccati dalle colorate fasce pandemiche non resta che accendere il televisore per fare un po’ di zapping e mentre scorrono le numerose pubblicità è una in particolare a bloccarmi. Mi colpisce fin dalle prime immagini, stupendomi perché riguardano un bambino che dialoga con il padre su argomenti scolastici o giù di lì. In tempi di didattica a distanza diventa naturale soffermarsi sulle immagini di un bambino curioso che pone domande. Il dialogo è di quelli tradizionali: sai questo, sai quello chiede il bambino. E’ la fine dello spot che mi spaesa e mi fa nascere qualche dubbio. Il bambino insiste e chiede: sai anche come si chiamava il tempio di Pompei? Il padre che forse lo sa o forse non se la cava rivolgendosi al magico attrezzo: Alexa come si chiama il tempio di Pompei? Sottovoce, quasi bisbigliando, Alexa che è ben preparata risponde: il tempio di Apollo.
Dove non può, o non vuole arrivare, magari per pigrizia o comodità, il sapere umano arriva l’intelligenza artificiale. Ecco fatto. A una domanda corrisponde una risposta immediata, che non deriva da una riflessione, che non esce dalla bocca di un padre ma da un grazioso robot con voce umanizzata. Le facce s’illuminano. E’ accaduta una cosa grandiosa: tutti hanno avuto la risposta che cercavano – padre, figlio e spettatore- placando così la sete di sapere. La via facile a un sapere illimitato che rappresenta, allo stesso tempo, una pericolosa scorciatoia. La saggia Alexa illumina i loro cammini che poi sono i nostri cammini, mostrandoci la verità ed eliminando ogni nostro dubbio e ogni nostra perplessità. La tecnologia non è a portata di click ma a portata di voce. Alexa è nostra amica, nostra madre, la nostra insegnante privata, Alexa è la soluzione a tutto, anche all’ignoranza. Madre o matrigna? Questo spot che ormai gira per le reti dell’intero sistema mediatico non è nuovo e come quelli di altre serie simili mira a tranquillizzarci sull’uso facile e comodo delle tecnologie che ormai abbiamo a disposizione. Domandare per sapere tutto e subito. Eppure mi scuote, forse perché transitiamo in un tempo che non è un tempo qualsiasi.
In questo nostro tempo in cui le scuole sono chiuse e la pandemia rende rari i rapporti tra i ragazzi e le ragazze e in cui e l’adolescenza diventa una sorta di gabbia sociale non ci resta che cercare e trovare l’altro in un totem tecnologico. Un supplente fatto su misura. Potrebbe essere il prossimo investimento del Ministero della scuola così eviterebbe la scocciatura di fare concorsi e di assumere i nostri giovani laureati. Lo spot ci indica un percorso. Un annullamento dell’agire umano in un tempo in cui non sono più abituali i rapporti tra le diverse generazioni (pensiamo a quello tra nonni e nonne con nipoti) vanificando ogni forma di trasmissione di esperienze e di storie di vita. Stanno insomma cambiando i modi di comunicare tra le persone e gli stessi rapporti stanno molto rapidamente mutando.
La pandemia ha velocizzato e verticalizzato il cambiamento che già era in atto con l’uso e l’abuso della Rete. L’umanità essendo sempre più carente, o impossibilitata, a esprimere sentimenti primari, proprio per questo, si rifugia nei “device”, facendone una grande abbuffata. Come in un frullatore dentro si mescola tutto: notizie vere e false, incontri, sapere e pericoli. Da qualche tempo qualcuno ci aveva messo in guardia dall’overdose informativa e qualcun altro, molto ironicamente, ha descritto questa forma di bulimia come il troppo di tutto che può diventare il niente.
Che cosa succederà quando il mondo si popolerà di mille, un milione di Alexa? O meglio dire cosa sta già succedendo ora che la Rete e, più in generale la tecnologia, rende gratuito e condiviso l’immane archivio del sapere e la gran mole di documenti accumulati nei secoli? Il tema sta facendo arrovellare molti studiosi, a cominciare dai filosofi. Succede, dice Maurizio Ferraris nel suo libro Intorno agli unicorni, che ” non bisogna più lesinare sui dati e si può esercitare una competenza senza comprensione. Quello che percepiamo come esplosione della tecnologia è più esattamente uno sviluppo dell’archivio e della memoria, che non ha più bisogno degli schemi e delle astrazioni con cui una memoria finita, quella umana, cercava di dominare il molteplice dell’esperienza”. Nel suo piccolo, Alexa ci dimostra questo: si può sapere tutto -o quasi- senza capire, senza sudare, senza inserire quella nozione nel molteplice dell’esperienza. La minaccia non sta dunque nell’attrezzo in sé, come non sta nelle utili tecnologie, ma nell’uso che se ne fa. E nel ruolo che le si assegna.