L’Italia non dà fiducia: quattro giovani raccontano perché sono andati a lavorare all’estero

Con un paese che deve investire più fondi nella ricerca e soprattutto in chi cresce, Boris, Leonardo, Mathilde e David parlano delle loro esperienze e speranze

L’Italia non dà fiducia: quattro giovani raccontano perché sono andati a lavorare all’estero
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1 Febbraio 2021 - 13.40


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di Chiara Guzzarri

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Solo in un anno, nel 2018, hanno lasciato l’Italia 117mila persone, di cui circa 30mila laureati: lo dice una ricerca elaborata dal centro studi della Rome Business School su dati Istat.  Il 72% di quelli che espatriano ha dai 25 anni in su, e il 32% sono laureati. Ci vuol poco a capire che i giovani che se ne vanno sono in cerca di lavoro ma più che altro di luoghi e ambienti nei quali tentare di valorizzare le proprie competenze e mettere a frutto gli studi fatti.  La pandemia non ha fermato questa emorragia e anzi, per alcuni versi, l’ha aggravata, stando ai primi risultati di ricerche che sono in corso per quest’ultimo anno. 
Dove vanno questi giovani in fuga? Una classifica delle cinque mete preferite dai nostri giovani che fuggono è stata fatta da Business Insider: il Regno Unito nel 2019 ha visto arrivare 21 mila persone, segue la Germania con 18 mila e la Francia con 14 mila infine la Svizzera (10 mila) e la Spagna (7 mila). Questi cinque stati hanno già il 60% del totale dei nostri cervelli, si vanno poi ad aggiungere i 18 mila in Brasile, Stati Uniti, Canada e Australia.
I dati mostrano quanto grande sia il fenomeno ma non dicono delle storie che vi sono dietro, delle motivazioni che inducono tanti giovani che qui hanno studiato o appreso una professione e che poi se ne devono andare lontani. Quelle che qui raccolte sono solo alcune voci di questi giovani. Ci offrono uno spaccato umano di ciò che significa tradurre nelle vite quella frasetta, ormai quasi gergale: “fuga dei cervelli”

Boris lavora al momento come dottorando presso l’Istituto di Aeroelasticità di Gottinga, del DLR (Centro di Ricerca Aerospaziale Tedesco), in Germania. Dopo la laurea triennale in ingegneria aerospaziale a Pisa, ha proseguito gli studi iscrivendosi alla magistrale di ingegneria aeronautica. I primi contatti con la Germania li ha avuti in vista della tesi di laurea magistrale, stava cercando un’esperienza diversa ed è riuscito ad ottenere uno stage di sette mesi presso Airbus ad Amburgo. Alla fine del tirocinio è stata l’azienda stessa ad indirizzarlo verso una posizione di dottorato offerta dal DLR. Quello che ha colpito Boris fin da subito è come, malgrado sia in una multinazionale con più di 100mila dipendenti, non venga considerato solo un numero di matricola, e come tutti i colleghi ed il suo supervisore siano sempre stati disponibili a supportarlo e consigliarlo, facendolo crescere sia dal punto di vista professionale che umano. 
Rientrare in Italia dopo il dottorato? Il desiderio sarebbe grande, ma teme che rimarrà solo un desiderio. È soddisfatto della posizione che ricopre ed altamente motivato. Inoltre, spiega, in Germania non si vive quella dimensione ansiogena che si ha in Italia negli ambienti lavorativi: si ha un turno di 8 ore e i weekend spesso sono liberi. Infine, Boris vorrebbe rimanere nell’ambito della ricerca e gli investimenti in Germania in questo settore aprono possibilità inimmaginabili in Italia. Questo non esclude totalmente un ritorno in madrepatria in un futuro.

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Leonardo dopo la maturità voleva assolutamente fare un’esperienza ‘fuori casa’ e non voleva perdere l’uso della lingua francese, quindi l’EPFL di Losanna, in Svizzera, era la scelta perfetta. Mentre studiava lì ha avuto la possibilità di fare un piccolo stage a Parigi, un anno accademico in Finlandia e al momento è a Boston negli Stati Uniti per completare la sua tesi magistrale. Malgrado non possa criticare il sistema universitario italiano, dal momento che non l’ha vissuto, crede che da un punto di vista teorico sia degno di grande stima, ma ha l’impressione che la teoria prenda spesso il sopravvento su quelle che invece dovrebbero essere competenze anziché semplici conoscenze. All’EPFL si ha la possibilità di fare molti progetti sugli argomenti più disparati, toccando con mano quello che si sta studiando, inoltre ha anche portali interi dedicati alla ricerca di uno stage, obbligatorio per conseguire la laurea in ingegneria. 
Infine, l’aspetto internazionale sta diventando sempre più importante, e bisognerebbe investire di più sulla lingua inglese e le esperienze all’estero. Per ultimo poi ci sono i problemi riguardanti i fondi per la ricerca: Leonardo vorrebbe proseguire facendo un dottorato, ma l’università italiana non ‘‘tiene minimamente il passo con le altre università europee, anche se sicuramente ci sono le grandi eccezioni’’. In un futuro non sa dove sarà, malgrado ami l’Italia ha costruito molti affetti anche in Svizzera.

Mathilde è a Bordeaux. Dopo la laurea triennale in ingegneria aerospaziale a Pisa è partita per completare la tesi magistrale nella città francese. Voleva fare un’ esperienza all’estero, e malgrado la pandemia, appena le si è presentata l’occasione ha colto la palla al balzo ed è partita. Spiega che la tesi in Francia è considerata uno stage, e quindi deve essere obbligatoriamente pagato lo stagista, sennò non viene riconosciuto lo stage. Non si tratta di un rimborso spese ma di un vero e proprio stipendio. Per ora si sta rivelando una bella esperienza, nel suo laboratorio sono tanti gli italiani e si trova bene, questo sta spingendo Mathilde a dire di non voler tornare in Italia, anche per come vede il suo futuro: rispetto all’Italia c’è un investimento molto più alto, anche dal punto di vista di argomenti innovativi da affrontare a livello universitario. Magari la paga dei dottorati è giusta, ma l’Italia non investe molto sulla ricerca, in Francia ci prestano più attenzione.
L’idea sarebbe di rimanere anche per il dottorato e il post dottorato in Francia e punta a rimanere nella ricerca all’interno dell’università. Ammette di essersi innamorata anche della città che la sta ospitando.

David oggi è enologo a Napa nella Promotory Winery. Ha sempre avuto la passione del viaggio e per le cose pratiche. Ha fatto i suoi studi prima a Siena e poi a Firenze in viticoltura ed enologia. È stato quattro mesi in Australia, una volta tornato in Italia ha lavorato per cinque anni a Montalcino, con l’opportunità di viaggiare tra Argentina ed Europa. Trascorsi questi anni, era stanco di non avere l’opportunità di sognare, ma di dover sottostare ai sogni di qualcun altro. Nel 2011 si è licenziato ed è andato a fare varie vendemmie in Francia, poi tre mesi in Argentina. Da qui viene messo in contatto con un enologo americano che gli dà la possibilità di andare a fare la vendemmia in California e poi gli viene offerta l’opportunità di partecipare ad un nuovo progetto: una nuova proprietà di cinque anni, dalla quale però non era uscito nessun vino. David rivede in quella proprietà collinare e boscosa le colline della sua infanzia e il sogno che in Italia si era visto negare. Accetta e si insedia stabilmente negli Stati Uniti con la moglie. L’Italia gli manca, gli manca l’atmosfera e la qualità di vita in cui è cresciuto, il suo legame con la terra va oltre il vino, ma in California gli è stata data la possibilità di fare bene, la fiducia e un progetto stimolante a lungo termine, di 200 anni, che è ben diverso dal lavorare in una cantina d’Italia come dipendente. L’ambiente italiano è molto rigido e non lascia molto spazio e investimenti alle nuove leve che si affacciano nel settore, qualcosa sta cambiando ma in maniera molto lenta. Non esclude un futuro in Italia, ma è importante, dice, che si abbia una visione completa dello sviluppo della società e un’apertura verso il mondo, se manca quella è difficile riuscire a organizzarla e farla fruttare, infine, bisognerebbe sfruttare meglio le grandi potenzialità che il nostro paese ci offre.

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Ma se è vero che sono molti i cervelli in fuga, molti sono anche coloro che hanno nostalgia di casa e vorrebbero tornare, e alcuni lo fanno veramente. Da Nord a Sud aumentano i giovani che rientrano nel nostro paese, mettendo a frutto esperienze e competenze maturate all’estero, creando opportunità di business e portando innovazioni nei vari settori.

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